In tanti ci hanno provato. Ma resta sempre il nodo della privacy
In queste ore si sta molto parlando dei Ray-Ban Stories, i nuovi smart glasses targati EssilorLuxottica e Facebook, frutto di una collaborazione che, a suo tempo, avevamo ripreso anche su StartupItalia. L’obiettivo dichiarato di questa alleanza tra due realtà così diverse (la prima una multinazionale storica, fondata da Leonardo Del Vecchio, e leader globale nel campo della moda; la seconda una multinazionale ben più giovane che ha fatto la sua fortuna mettendo in connessione miliardi di persone con social network e piattaforme di messaggistica), dicevamo l’obiettivo era proprio arrivare ai primi modelli di occhiali smart, intelligenti. Vi abbiamo dato conto di come sono i nuovi Ray-Ban, molto simili agli iconici occhiali, con telecamere per fare foto e storie da condividere direttamente sui social. Ma la vera domanda che ci stiamo ponendo è: ci servono davvero?
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Smart glasses: i precedenti
Sono quasi dieci anni che le Big Tech lavorano sugli smart glasses. Google, tanto per citare il caso più celebre, ha lanciato i propri nel 2013: i Google Glass, al prezzo di 1500 dollari a paio, non sono mai decollati e le critiche sulla privacy dovuta alla telecamera incorporata che inquadrava ogni aspetto della vita privata delle persone ha affossato il progetto. Poi è arrivata Microsoft che, quest’anno, ha stretto un accordo da 22 miliardi di dollari con la difesa americana alla quale dovrà fornire smart glasses da far indossare ai soldati. Si è letto di 3500 dollari di prezzo, ma in questo caso non si tratterebbe di un prodotto disponibile per il commercio.
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In un anno che ha ulteriormente aggravato la posizione di fronte all’opinione pubblica dei social network – da Twitter a Facebook – per il modo in cui vengono combattute (non sempre) le fake news e le moderazioni sulla piattaforma, la privacy è rimasta ancora uno dei tasti più dolenti. Al netto della curiosità per l’ennesimo oggetto tecnologico che potrebbe andare a riempiere il nostro arsenale tech, col quale aumentare le possibilità di rimanere connessi sempre e in ogni modo, è indubbio che il lancio di questa nuova iniziativa non abbia fugato tutti i dubbi e legittimi timori. Gli smart glasses servono per farci divertire, o funzioneranno come ennesimo cavallo di Troia per raccogliere informazioni su di noi?
Sulla stampa USA, per esempio, c’è chi ricalca il tema privacy. Su questo Facebook ha detto che vieterà la vendita ai minori di 13 anni, ma resta il fatto che un dispositivo del genere potrebbe diventare davvero invasivo nella vita delle persone, arrivando di fatto a riprendere ore e ore di quotidianità senza alcuna soluzione di continuità. La multinazionale di Mark Zuckerberg, si sa da tempo, vuole mettere entrambi i piedi nel settore della realtà aumentata e gli smart glasses servono anche a questo scopo. Nel frattempo Gartner ha previsto che il mercato degli wearable raggiungerà i 109 miliardi di dollari entro il 2024. “Usiamo questi dati per migliorare e personalizzare la tua esperienza con i prodotti Facebook”, recita l’avviso di Menlo Park riportato nell’articolo di Engadget col quale si dà una recensione del prodotto. La privacy è il cosiddetto elefante nella stanza: chi garantisce che l’intero girato dei Ray-Ban Stories non servirà in ottica pubblicitaria?