Notizie frammentarie arrivano da Parigi dove, si apprende dall’emittente francese Tf1, è finito agli arresti Pavel Durov, fondatore e CEO di una delle più importanti app di messaggistica istantanea dell’universo virtuale, diretta concorrente dell’americana WhatsApp (Meta): Telegram.
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Perché è stato arrestato Pavel Durov
Secondo le prime informazioni, Pavel Durov, la cui fortuna è stata stimata da Forbes in 15,5 miliardi di dollari, era appena atterrato all’aeroporto parigino di Le Bourget da un viaggio in Azerbaigian. L’Amministratore delegato di Telegram è atterrato col jet privato che aveva noleggiato attorno alle 20 di ieri, sabato 24 agosto, in compagnia di una donna la cui identità non è stata resa nota dalle agenzie francesi e della sua guardia del corpo.
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Appena messo piede su suolo francese, la Gendarmerie ha però bloccato il magnate 39enne sulla base di un mandato spiccato a seguito di una inchiesta della magistratura d’Oltralpe. La particolare intelaiatura di Telegram, che consente una grande libertà d’azione a chi intende utilizzare la chat e i gruppi in modo illecito, per i magistrat du parquet – ovvero i giudici requirenti – lo avrebbe reso complice di attività illegali di vario genere, dal traffico di droga alle frodi.
Secondo i media francesi, il mandato nei confronti di Durov era subordinato alla sua presenza sul territorio francese e il visionario geniaccio del Web, venuto a conoscenza dell’inchiesta, si era tenuto alla larga dall’Europa, almeno fino questo momento, viaggiando soltanto tra l’Arabia, il Sud America e i Paesi dell’ex Unione sovietica. «Questa sera ha commesso un errore. Non sappiamo perché… In ogni caso, è in custodia!», ha esultato a TF1 una fonte vicina agli inquirenti.
Chi è Pavel Durov
Cappuccio ben calato sul viso, Pavel Durov al contrario dei “ragazzi geniali del Web” d’Oltreoceano, come Mark Zuckerberg o Elon Musk, apparentemente sembra schivo e riservato. Ma col tempo si è capito che la sua è più una posa studiata per dare fascino e spessore al personaggio, ammantandolo con quell’alone di mistero e segretezza tipicamente russo che fa tanto cortina di ferro 2.0.
Pavel infatti alterna le foto incappucciate a quelle in cui esibisce i propri muscoli a torso nudo, apparentemente in modo satirico (lanciò l’hashtag #PutinShirtlessChallenge per prendere in giro il presidente russo che si faceva spesso ritrarre senza maglia).
Non disdegna nemmeno di apparire in pubblico con maglioni a collo alto neri che rimandano inevitabilmente a Steve Jobs. Non solo: ha recentemente fatto sapere di essere diventato, un po’ per caso un po’ in amicizia, donatore di sperma e di avere 100 figli biologici (ogni record che pensava di detenere Musk in tale ambito è stato insomma polverizzato).
L’eterna fuga del founder di Telegram
La sua ossessione per la libertà di parola che lo aveva messo nei guai in Russia rischia di costargli caro pure nel Vecchio continente dove si attende di conoscere l’esatta portata delle accuse con le quali gli inquirenti intendono portarlo alla sbarra. Durov aveva dovuto lasciare il suo Paese nel 2014 dopo essersi rifiutato di rispettare le richieste del governo di chiudere le comunità di opposizione sulla sua piattaforma di social media VKontakte, equivalente russo di Facebook del gruppo Meta, aperta nel lontano 2006. Dopo aver riparato in Occidente, Durov aveva rivelato di essere stato costretto a vendere le sue azioni in VK a oligarchi favorevoli al Cremlino per 300 milioni di dollari.
«Preferisco essere libero piuttosto che prendere ordini da qualcuno», aveva dichiarato in una delle rarissime interviste concesse, peraltro rilasciata al controverso giornalista statunitense Tucker Carlson, vicinissimo a Donald Trump.
L’assenza di regole di Telegram, app lanciata nel 2013 assieme al fratello Nikolai, l’ha resa però il perfetto refugium peccatorum online di un numero imprecisato di cybercriminali che quotidianamente la utilizzano per i propri loschi traffici che includono anche lo scambio di materiale pedopornografico.
Dopo Mosca, Pavel Durov e Telegram avevano iniziato una lunga peregrinazione mondiale che li ha portati a Berlino, Londra, Singapore e San Francisco. Fino a Dubai, dove è tutt’ora residente e dove ha sede la sua azienda che conta appena 50 dipendenti. Nel 2021 l’imprenditore aveva preso la cittadinanza francese.
Il founder di Telegram ha affermato recentemente che alla società «sono state offerte valutazioni superiori a 30 miliardi di dollari» da potenziali investitori tra cui «fondi tecnologici globali», ma ha subito rassicurato l’utenza escludendo la vendita della piattaforma nel nome dei valori di libertà e indipendenza.
Pavel Durov il nullatenente
A proposito di libertà e indipendenza, sempre Durov ha recentemente detto di sé che, a dispetto di una fortuna sterminata dal valore approssimativo di 15 miliardi tra dollari e criptovalute, non ha mai voluto possedere immobili e neppure jet o yacht che affitta e noleggia in caso di necessità, perché voleva essere libero.
Il ruolo di Telegram nel conflitto tra Russia e Ucraina
Nella medesima intervista concessa lo scorso aprile a Carlson, Pavel Durov ha ribadito la natura apolitica di Telegram, che tuttavia da diversi analisti viene definita pari a “un campo di battaglia virtuale” da quando, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin, ha iniziato a essere utilizzata quotidianamente per attività di disinformazione, propaganda e forse spionaggio sia dai funzionari di Mosca sia di Kiev.
Il ruolo dell’app in vicende controverse
Qualche mese fa il Cremlino aveva richiesto al proprietario di Telegram di prestare «maggiore attenzione» dal momento che la pista degli inquirenti russi che indagano sull’attentato terroristico al Crocus City Hall – la sala da concerto alla periferia di Mosca assaltata da un commando armato che è riuscito a uccidere 140 persone e causare oltre 300 feriti – porterebbe proprio all’app, sfruttata dall’Isis-K (che ha rivendicato la strage) per reclutare in gran segreto e nel totale anonimato i membri del commando.
In quell’occasione, senza troppi giri di parole, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, aveva lanciato un avvertimento: «Ci aspetteremmo molta più attenzione da parte di Pavel Durov, perché questa risorsa unica e fenomenale dal punto di vista tecnologico, che è cresciuta, infatti, davanti agli occhi della nostra generazione, sta diventando sempre più uno strumento nelle mani dei terroristi, utilizzata per scopi terroristici». Quindi Peskov aveva comunque rassicurato che non ci sono piani per bandire Telegram dalla Russia.
Telegram in numeri
La sua app di messaggistica, molto popolare nei Paesi dell’ex URSS, sembra aver ricevuto un vero e proprio boost dal conflitto sul territorio ucraino se si considera che ha recentemente superato i 900 milioni di utenti attivi al mese mentre erano 500 milioni solo nel 2021 (l’invasione russa ha avuto inizio il 24 febbraio 2022). Nell’ultimo periodo, secondo quanto aveva detto il suo founder, Telegram sta guadagnando «centinaia di milioni di dollari» grazie all’utenza premium (le sottoscrizioni sono state aperte due anni fa e avevano raggiunto il primo milione di abbonati in poco tempo) e all’Adv, attualmente limitato ad alcune aree geografiche.
Alla fine del primo trimestre di quest’anno Pavel Durov aveva dichiarato che la sua azienda si aspetta di raggiungere la redditività l’anno prossimo attraverso un modello di business basato su abbonamenti e pubblicità – non dissimile insomma dalla strada, tutta in salita per l’ex social Twitter, che Musk ha intrapreso col suo X – e ha l’obiettivo futuro di una quotazione sul mercato azionario. «Il motivo principale per cui abbiamo iniziato a monetizzare – aveva spiegato Durov al Financial Times – è perché volevamo rimanere indipendenti. In generale, vediamo una IPO come un mezzo per democratizzare l’accesso al valore di Telegram».
Le conseguenze geopolitiche dell’arresto di Pavel Durov
I piani industriali della Big Tech potrebbero però essere sparigliati proprio dall’arresto di Durov e dalle accuse che verranno rivolte dalla giustizia francese al Ceo e a Telegram.
Certamente la notizia sarà sfruttata dalla propaganda filo russa come prova dell’assenza di libertà nel Vecchio continente se si considera che qualche settimana fa è bastato l’invito del commissario Thierry Breton a Elon Musk prima della sua amichevole chiacchierata su X con Donald Trump al rispetto delle regole anti fake news del DSA comunitario perché i conservatori statunitensi e i fan dell’egoriferito patron del social un tempo noto come Twitter gridassero alla «dittatura che vige in Europa».
E proprio Elon Musk è prontamente intervenuto commentando l’arresto di Pavel Durov con diversi post carichi di significato. Uno recita: «POV: è il 2030 e in Europa si viene giustiziati per aver apprezzato un mese». L’altro riprende il tradizionale motto dei rivoluzionari francesi (Liberté, Égalité, Fraternité) poi accluso nell’articolo 2 della Costituzione francese del 1958 quasi a voler sottolineare che l’Hexagone sta tradendo i propri principi.