Quello di proprietà è un concetto tanto semplice da cogliere intuitivamente quanto difficile da circoscrivere entro termini esatti. Dove cominci e dove finisca il potere legato al possesso di determinate «cose» è una domanda che ha impegnato legislatori, storici, economisti, filosofi e politici di tutte le epoche e che con ogni probabilità è destinata a non trovare mai una risposta definitiva. Le tipologie di merci che possono essere acquistate in cambio di denaro variano con il tempo in base alle leggi, all’evolvere della tecnologia e alla disponibilità di determinati materiali, e ciò che oggi ha un valore prevedibile di scambio sul mercato domani potrebbe essere diventato un bene del tutto illiquido o inaccessibile ai più.
A questo contesto si è aggiunto, di recente, un ulteriore elemento di complessità che non ha ancora raggiunto la soglia vigile dell’attenzione collettiva: la digitalizzazione di ogni cosa sta mettendo sempre più in discussione la stessa possibilità di possedere gli oggetti di uso quotidiano in maniera definitiva. La diffusione di oggetti connessi alla Rete, infatti, si inserisce in una tendenza di fondo che vede un numero crescente di persone servirsi di merci che restano di proprietà di altri, nella sostanza ancor prima che nella forma: l’Internet delle Cose, in questo senso, sfugge a ogni categoria preesistente di catalogazione della proprietà per inaugurare una nuova fase della storia dell’uomo in cui l’abitudine al possesso viene sostituita dalla semplice possibilità di «accedere» alle merci digitali, con conseguenze ancora in gran parte sconosciute per la maggior parte di coloro che si trovano nel mezzo di questa fase di transizione.
[…] Il passaggio da un mondo in cui le merci erano per lo più analogiche a un mondo in cui queste ultime sono diventate sempre più «intelligenti» coincide infatti con la possibilità offerta agli ideatori, produttori e ai commercianti degli oggetti stessi di controllare da remoto questi ultimi, anche dopo il loro acquisto o noleggio da parte dei consumatori. Ciò che viene digitalizzato può conservare un legame di dipendenza verso terzi che annulla la pretesa degli utilizzatori di poterne rivendicare il possesso a titolo esclusivo: ogni merce digitale può essere aggiornata, disattivata o manipolata da remoto, quando non “ribellarsi” automaticamente al volere dei suoi acquirenti in seguito a una violazione delle regole contenute nella licenza d’uso con cui essa è stata messa in vendita. Sembra fantascienza, ma gli episodi raccolti nel libro dimostrano come essa sia già diventata la realtà quotidiana di coloro che hanno accolto nella propria casa assistenti vocali, giocattoli connessi, frigoriferi intelligenti, lettori di ebook, telecamere smart, auto connesse o qualunque altro oggetto collegato alla Rete.
[…] Il venir meno della proprietà sugli oggetti connessi, tuttavia, porta con sé il venir meno delle possibilità di controllo esclusivo su questi ultimi non solo da un punto di vista formale, ma anche nel momento stesso in cui essi vengono utilizzati dal loro acquirente. «L’uomo senza proprietà» può ritrovarsi nella condizione di essere sorvegliato mentre utilizza o si trova nei pressi di qualsiasi elettrodomestico digitale, di pagare una somma extra per poter mettere in funzione al momento del bisogno strumenti già acquistati a caro prezzo, di vedersi sottrarre contenuti catalogati e accumulati per anni dopo la scadenza dell’abbonamento a un servizio di streaming, di essere rinchiuso in casa «propria» dopo aver condiviso malauguratamente con l’ex partner le credenziali di controllo delle serrature digitali: eventualità talvolta rare, ma pur sempre plausibili come vedremo nel corso del libro.
In questo contesto la perdita di proprietà sugli oggetti potrebbe avere conseguenze a dir poco deleterie nel momento in cui le possibilità di controllo da remoto su questi ultimi, dapprima limitate alle aziende produttrici, dovessero riguardare anche altri soggetti non previsti inizialmente. Nel momento in cui i produttori di oggetti connessi dovessero subire un attacco informatico, per esempio, o diventare di proprietà statale, anche il controllo da remoto degli oggetti digitali potrebbe passare in mano a criminali o istituzioni autoritarie, in maniera inizialmente del tutto inavvertita per il cittadino e consumatore finale. Non vi è alcuna certezza che i dati raccolti da una telecamera connessa interna all’abitazione non possano un domani transitare dal server dell’azienda produttrice a quello gestito da un’autorità non sottoposta ad alcuna forma di contropotere democratico, così come non vi è alcuna certezza che altri oggetti digitali non possano essere controllati da remoto oggi da aziende meritevoli di fiducia, un domani dai nuovi acquirenti di queste ultime mossi da dubbie finalità.
Se la casa privata è stata per lungo tempo il luogo in cui ritirarsi dal mondo e sfuggire, perlomeno parzialmente, alla sorveglianza e agli obblighi sociali, con la digitalizzazione massiccia degli oggetti presenti in ogni abitazione ecco che questa possibilità rischia di venire improvvisamente meno. La sorveglianza compiuta tramite le merci digitali, così come la manipolazione dei comportamenti o veri e propri attentati all’incolumità personale degli individui, può essere compiuta indifferentemente da un’azienda privata in violazione delle leggi esistenti così come da un’autorità pubblica o da un gruppo di criminali mossi delle peggiori intenzioni, lasciando le persone sempre più indifese di fronte a intrusioni non autorizzate nella loro vita privata e per il tramite di oggetti di uso abituale e sempre più indispensabili.
Vengono meno, nel frattempo, le alternative: i produttori che non sono stati in grado di aggiornare i propri prodotti alle esigenze dell’economia digitale e basata sull’accesso anziché sul possesso si vedono costretti a chiudere, non potendo reperire capitali sul mercato o sufficienti linee di credito da parte degli istituti finanziari in mancanza di credibili prospettive di crescita nel futuro. Gli oggetti analogici continuano a essere prodotti ma con aspettative di vendita decrescenti, incalzati da una nuova generazione di oggetti digitali capaci di fare più cose e a un costo iniziale di accesso inferiore. Viene meno, infine, soprattutto nelle giovani generazioni l’abitudine di acquistare, regalare, prestare, ereditare merci che nelle loro licenze d’uso vietano del tutto o in parte queste possibilità, e che sono dotate della capacità tecnica di far rispettare in automatico le loro stesse regole.
Senza voler spingere lo sguardo troppo in avanti, né al contrario retrocedere troppo a ritroso nel passato remoto – per rimanere concentrati sul presente e le sue possibili diramazioni – vale la pena concludere questa introduzione al libro ricordando come il diritto alla proprietà sia tutto fuorché una conquista immutabile nei secoli, e di come fino a poco tempo fa molti dei nostri avi vivessero nella condizione di persone senza terra, senza casa, senza alcun diritto su nulla che non fosse una temporanea concessione offerta da un monarca o da un suo rappresentante.
La stessa condizione, oggi, sembra ripresentarsi con lo spostamento di potere sugli oggetti dagli individui alle aziende, e dalle aziende ad altre entità, con la conseguenza che ogni persona, dalla più povera alla più ricca, dalla più informata alla meno consapevole, dalla più anziana alla più giovane, si trova nella spiacevole condizione di dover chiedere due volte permesso: il permesso di poter accedere a un oggetto, il permesso di poter utilizzare quest’ultimo per una maggiore durata di tempo anche a fronte di disponibilità finanziarie un tempo sufficienti per acquistarlo a titolo definitivo.
A venire messo in discussione, in ultima analisi, è il nesso storico tra proprietà e libertà, e tutte le possibilità che un oggetto posseduto a titolo definitivo consente di esercitare: da quella di potersi rinchiudere in casa propria a quella di potersi servire degli oggetti come strumenti di evasione, da quella di poter utilizzare il proprio denaro senza vincoli di spesa a quella di poter accumulare e fruire senza alcun limite di opere culturali regolarmente acquistate. Per questo motivo la seguente indagine – di portata potenzialmente illimitata – sugli oggetti digitali prenderà le mosse e si concluderà, per ragioni di tempo e di sintesi, all’interno di quell’ambiente da sempre ritenuto sinonimo di proprietà privata: l’abitazione personale, sempre più popolata di cose che sfuggono al controllo e alla comprensione dei suoi abitanti, ma nondimeno fondamentale per definire chi siamo e trovare un momento di tregua rispetto alle pressanti richieste del mondo.
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Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare” Jacopo Franchi, social media manager e studioso dei nuovi media digitali membro del Digital Wellbeing Lab dell’Università Bicocca ha dedicato ai nostri lettori un estratto del suo libro L’uomo senza proprietà, Egea edizioni.