Secondo Bruxelles prediligere i programmi modificabili dagli utenti permetterebbe la nascita di oltre 600 nuove startup nel settore delle TIC
Il Vecchio continente dall’open source ha solo da guadagnarci. Il perché è presto detto: le big del tech che vendono software sono quasi tutte statunitensi (adesso si affacciano pure quelle cinesi, che però vengono ancora guardate con diffidenza, da noi occidentali) e in questo mercato il Vecchio continente non sta ancora giocando un ruolo da protagonista, limitandosi a quello dell’utente finale. Ecco perché per Bruxelles dovremmo puntare sempre più sui software privi di diritto d’autore, i cui codici sono liberamente modificabili da chiunque.
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Lo ha ribadito ancora oggi la Commissione europea, che ha pubblicato i risultati di uno studio che analizza l’impatto economico del software e dell’hardware “open source” sull’economia europea e che, ovviamente, piacerà assai poco ai colossi del settore. Si stima che nel 2018 le imprese con sede nei Ventisette Paesi dell’Ue abbiano investito circa 1 miliardo in software “open source”, con un impatto positivo sull’economia europea compreso tra 65 e 95 miliardi di euro.
Le startup prime beneficiarie dell’approccio open source
Lo studio prevede che un aumento del 10 % dei contributi al software “open source” genererebbe ogni anno un aumento del PIL compreso tra lo 0,4 % e lo 0,6 % e permetterebbe la nascita di oltre 600 nuove startup nel settore delle TIC qui nel Vecchio continente.
I benefici del software con codice sorgente aperto sono noti e numerosi: il settore pubblico potrebbe ridurre il costo totale della proprietà, evitare effetti di dipendenza dal fornitore (“vendor lock-in”) e di conseguenza rafforzare la propria autonomia digitale. Lo studio formula una serie di raccomandazioni specifiche di politica pubblica per fare sì che il settore pubblico diventi autonomo sotto il profilo digitale, la ricerca e l’innovazione abbiano carattere aperto e favoriscano la crescita europea e l’industria sia digitalizzata e competitiva a livello interno. A lungo termine, si legge, i risultati dello studio potrebbero essere utilizzati per rafforzare la dimensione “open source” nello sviluppo di future politiche in materia di software e hardware per l’industria dell’Unione europea.