Una vita spesa a metà tre Italia e Stati Uniti, inseguendo i segreti dell’innovazione.
Oggi, Anna Gatti, è Direttore del LIFT Lab presso l’Università Bocconi. Qui prepara l’Italia al futuro, in quello spazio di convergenza tra scienze della vita e tecnologie digitali
La sua carriera è cominciata presso l’Università Bocconi, da cui è partita, ancora studente, alla volta degli Stati Uniti. Anna Gatti, oggi Professor of Practice in Digital Transformation presso SDA Bocconi, ha in seguito deciso di rimanere negli States per prestarsi al mondo della ricerca presso università come Barkeley e Stanford o presso importanti istituzioni, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Ma è lavorando per un fondo di venture capital che inizia a capire cosa rende la Silicon Valley un posto favorevole all’innovazione. Per svolgere bene il suo lavoro nel consiglio di amministrazione delle aziende finanziate, sente l’esigenza di provare un’esperienza aziendale, perché – come afferma lei stessa – “il vero laboratorio delle scienze sociali è proprio l’azienda”.
Così non si rivolge certo ad aziende qualunque: parliamo di Google, YouTube e Skype. Sono le aziende della Silicon Valley, l’area in cui si concentra l’innovazione. Poi prova lei stessa a fondare un’azienda creando due start-up: la prima basata sull’Intelligenza Artificiale, la seconda sul brain imaging.
L’Università Bocconi non si è lasciata sfuggire la ricchezza di tutta questa esperienza. La nomina Direttore del LIFT Lab, luogo di convergenza tra digitale e life science, punto di osservazione privilegiato dell’innovazione e fucina di idee per il futuro. Abbiamo fatto una chiacchierata con Anna Gatti che, partendo dalla sua esperienza personale, ci ha parlato della sua idea di innovazione per le scienze della vita.
L’Università Bocconi ha inaugurato il LIFT Lab nel gennaio di quest’anno. Qual è la vostra missione?
Abbiamo creato il LIFT Lab con l’obiettivo di studiare l’innovazione che avviene nell’area di convergenza tra life science e digital technologies. È un settore in crescita come dimostrano i numeri relativi a investimenti e fondazione di nuove start-up. Per prima cosa abbiamo creato una partnership tra Bocconi e MIT, che ci aiuterà a mappare le tecnologie più innovative. Il risultato di questo lavoro è un “radar” sulle tecnologie più discusse per un determinato anno. A partire dalla fotografia scattata possiamo stabilire se saranno solo delle meteore o potremo valutare se il mercato è pronto ad accoglierle. Poi sarà nostra cura studiare le regole attraverso cui le tecnologie si traducono in innovazione di business. E cercheremo di capire quali sono le condizioni sistemiche, istituzionali, regolamentari, etiche e finanziare necessarie per trasformare un brevetto in innovazione di business. Con questo laboratorio, la Bocconi, vuole creare e offrire una conoscenza a uso degli esperti.
Quali elementi vi servono per crescere oggi?
Perché ciò si realizzi serve una contaminazione tra diverse conoscenze. Occorre far sedere intorno a un tavolo i principali stakeholders, che abbiano voglia di cambiare, fare sistema e porre le condizioni per l’innovazione. Il Lab è già operativo e abbiamo raccolto l’adesione di sette soci fondatori, seguendo il principio della trasversalità, includendo quindi anche istituti finanziari come Intesa San Paolo, e fondazioni, quali Fondazione Fiera, che hanno un ruolo di enabler per l’innovazione sul territorio, oltre a importanti case farmaceutiche, gruppi ospedalieri e biotech, anche straniere.
Il prossimo passo è l’ampliamento del tavolo di lavoro in modo più trasversale, includendo anche service provider tra i founding members. Se arrivassimo a far incontrare all’interno del Lab una massa critica di membri, potremmo raccogliere punti di vista molto diversi, prerogativa per approfondimenti e discussioni più robusti. Finora c’è stato grande interesse e volontà di adesione da parte di importanti player nell’area della salute umana. È più complicato coinvolgere studi legali o società di consulenza sul tema dell’innovazione in quanto pensano di non essere direttamente coinvolti nella creazione di nuova conoscenza alla convergenza tra digital e life science.
E invece è una questione che riguarda anche loro: pensiamo, ad esempio, al momento in cui le cliniche inizieranno a impiantare tessuti in grado di auto-ripararsi. Occorre chiedersi, in ambito assicurativo, chi deve usufruire di assicurazione, ma occorre che in ambito legale ci siano già le conoscenze per capire come strutturare i contratti lungo la catena del valore. C’è poi la questione della generazione e gestione di dati che saranno sempre più numerosi e sempre più critici, in quanto trattano la salute delle persone. Queste sono tematiche centrali per studi legali e per consulenti, oltre che per biotech, farma e ospedali.
L’opportunità del LIFT Lab è quella di sedersi a porte chiuse con diversi player, per capire le loro esigenze in anticipo. Quando arriverà il momento di finanziare l’evoluzione di una tecnologia che ha a che fare con le scienze della vita, le persone coinvolte avranno già familiarità con l’innovazione proposta e con i bisogni di coloro che richiedono il finanziamento.
Con questo spirito abbiamo invitato Alberto Salleo, professore di ingegneria e scienze dei materiali a Stanford, che ha inventato una sinapsi artificiale che funziona su cellule vive. Certo, un’innovazione ancora squisitamente accademica. Ma è un’incredibile opportunità per i nostri membri il fatto di poter parlare in anteprima di innovazioni che saranno sul mercato in un prossimo futuro, oltre a partecipare attivamente al lavori core del LIFT lab che mappano invece l’innovazione più prossima al mercato. LIFT Lab si propone quindi di porsi le domande e cercare le risposte prima che le tecnologie e le innovazioni nell’ambito della convergenza tra digitale e scienze della vita entrino sul mercato.
La sua carriera ha avuto uno sviluppo verticale. Ha sperimentato vari settori ed è cresciuta in un contesto americano. Cosa serve all’Italia di oggi per innovare?
L’Italia è uno dei paesi che registra un numero significativo di brevetti nel settore delle scienze della vita. Ma resta basso il numero di brevetti che si trasforma in un’innovazione di business. I brevetti si tramutano troppo raramente in start-up e aziende. In America, invece, succede il contrario. Questa mentalità comincia dal campus, che offre una formazione forse meno strutturata da un punto di vista della teoria, ma molto orientata all’applicazione. L’Italia deve anche lavorare sul cambio generazionale. Una persona che diventa CEO a 50 anni qui è considerata giovane. Mentre invece bisognerebbe offrire spazio e dare maggiori responsabilità ai giovani, a partire dall’università
Che cosa significa essere donna ed essere direttore di un laboratorio in Italia?
In generale, in Italia, c’è ancora molta strada da fare per le donne in ambito professionale. La Bocconi, però,ha creato condizioni di pari opportunità da tempo. Anche i ranking internazionali che classificano le università lo riconoscono. La Bocconi ha iniziato fin dalla formazione a creare le pari opportunità. Molte delle donne che sono oggi in politica, nelle aziende o in accademia e che sono cresciute in Bocconi, hanno avuto la possibilità di frequentare un dottorato di ricerca e fare esperienze all’estero per la ricerca. Il vantaggio per l’Università è la creazione di un network e di una cassa di risonanza internazionale.
Il risultato è che molte persone, come me, si sentono di dover restituire qualcosa alla Bocconi, senza che l’Università lo pretenda.
Vivo il fatto di essere direttore del LIFT Lab da donna come una grossa gratificazione e una responsabilità. La responsabilità deriva non solo per il ruolo e il progetto a prescindere dal mio genere, ma anche come donna per dare l’esempio a chi si sta laureando ora e sta pensando cosa potrebbe fare da grande. La gratificazione, invece, deriva principalmente dal vedere che il piano che la Bocconi ha messo in atto con costanza per anni di dare a entrambi i generi l’opportunità di crescere professionalmente allo stesso modo ha funzionato. Capisco di far parte di un piano determinato e agito dalla stessa Università Bocconi. Un piano che si può e si deve replicare per dare a entrambi i generi le stesse opportunità di accedere a posizioni di responsabilità. E che la competenza faccia la differenza, non il genere.
E quanto è contata la sua capacità di misurarsi con diversi ambienti, in un contesto americano, per arrivare fino a qui?
La tendenza ad attraversare diversi settori fa parte del mio carattere. Non so dire se gli Stati Uniti abbiano favorito o accentuato questa mia tendenza. Secondo me, oggi, un atteggiamento simile paga. Le incertezze portate dalla pandemia ci hanno dimostrato che essere radicati nella propria comfort zone è rischioso. Le persone abituate a uscire dalla propria comfort zone hanno un elevato livello di adattabilità e una necessaria capacità di leggere situazioni che sono poco familiari. E io mi spingo sempre a uscire da un ruolo quando mi accorgo che è diventata una comfort zone.