Sedetevi al vostro banco: “A lezione di fallimento” di Francesca Corrado sta per iniziare. Questa settimana traiamo ispirazione dagli inciampi di due realtà italiane che hanno fatto tesoro degli errori commessi per arrivare alle stelle
Raccontare a sé stessi gli errori è difficile. Ma non quanto raccontare agli altri i nostri fallimenti e la ragione dei nostri insuccessi. Siamo abituati a costruire narrative di successo per ogni dimensione della nostra vita: quella personale raccontata sui social, quella lavorativa scritta sul curriculum. Se siamo un’azienda, il nostro sito sarà pieno di storie di clienti soddisfatti dalle soluzioni proposte. Il flop dei nostri prodotti, le lamentele degli utenti, gli errori nella esecuzione o pianificazione di un nuovo progetto imprenditoriale saranno espunti dalla storia produttiva e dal racconto aziendale come inciampi da dimenticare. Tuttavia, nascondendo gli insuccessi siamo più facilmente esposti a un errore sistematico, quello di credere che abbiamo un maggiore controllo sui fattori che determinano il successo. E che a sbagliare non siamo noi, ma sempre gli altri.
Il successo è intessuto di sconfitte
Mai dati non mentono. Solo il 10% dei nuovi prodotti emerge, il restante 90% si rivela un flop anche quando è ideato e distribuito da brand conosciuti al grande pubblico e da aziende di lunga esperienza nel campo delle innovazioni. Gli annali delle invenzioni sono infatti pieni di errori e di prodotti che non hanno incontrato il gusto del pubblico o di una particolare cultura. Una ricerca focalizzata sui prodotti di largo consumo condotta dal professor C. Christensen dell’Harvard Business School rivela che, nell’arco di un anno, circa l’80% dei lanci di nuovi articoli non raggiunge un numero di pezzi venduti adeguato alle aspettative minime. Si innova sperimentando per prove ed errori. Si innova anche condividendo internamente le bad practice e facendo tesoro dei fallimenti dei concorrenti come dei propri. Proprio come hanno fatto due grandi marchi italiani.
Alessi, storico brand italiano di oggetti di design, tra dicembre 2016 e gennaio 2017 ha celebrato i suoi fallimenti con una mostra Alessi In-possible. Quando l’idea non è ancora prodotto. La mostra esponeva oltre cinquanta oggetti di design mai messi in produzione. C’erano forchette che non era chiaro come utilizzare, bicchieri pensati con materiali inadeguati, penne troppo costose da produrre, caffettiere difficili da realizzare e caraffe in un equilibrio assai precario. «La nostra missione – racconta Alberto Alessi – consiste nell’esplorare l’immensità del possibile creativo, una zona ad altissima turbolenza». Ma è dal 1992 che Alessi tiene traccia della sua produzione di prodotti di successo, di prototipi mai entrati in produzione e degli esperimenti falliti divenuti poi celebri. Un archivio di problemi risolti e irrisolti che contiene oltre 25.000 oggetti e 20.000 disegni da consultare per non commettere gli stessi errori. Si tratta di schizzi, disegni tecnici, prove colore, stampi che testimoniano tutti i possibili errori che si possono presentare nell’ideazione ed esecuzione dell’idea o nella pianificazione economica. O ancora, sviste dovute alla mancata conoscenza dei prodotti concorrenti. «Il nostro destino ci spinge a camminare per strade che non sono state ancora aperte, a battere sentieri sconosciuti per raggiungere il cuore del pubblico». Il fallimento è un passo in avanti lungo un percorso di scoperta.
Il fallimento è un errore fecondo
Anche Enzo Ferrari possedeva un archivio degli errori. Le riunioni del lunedì a Maranello, dopo ogni Gran Premio, alle quali partecipavano i tecnici e il direttore sportivo, si tenevano infatti nella «stanza degli errori». Così chiamata perché lì un armadio a vetro custodiva, con tanto di targhette, i pezzi difettosi risultati da un processo di costruzione sbagliato. Ma anche pistoni, bielle, bronzine, candele e altre componenti delle automobili che in gara avevano ceduto. Simbolo di una cattiva performance o di una sconfitta.
La stanza è oggi riprodotta fedelmente al Museo Casa Enzo Ferrari a Modena. Le pareti sono state dipinte dello stesso colore azzurro intenso dell’originale ed è arredata con i mobili originali. Si vede la scrivania essenziale sulla quale Ferrari lavorava. Il tavolo su cui si svolgevano, nelle ore serali, le riunioni riservate con i più stretti collaboratori e i piloti. È in quella stanza che si discuteva soprattutto delle cose ancora da migliorare e degli errori commessi. Sbagli che regolarmente finivano nell’armadio degli errori. Gli archivi sono importanti perché conservano testimonianza delle decisioni prese, delle azioni realizzate e delle memorie accumulate.
In tema di arte e design, nella stessa direzione andava il progetto espositivo Failures ideato dal collettivo Raumplan nel 2016. Un ampio percorso espositivo dedicato ai fiaschi di grandi designer, che comprendeva pezzi unici di maestri come Ettore Sottsass. Ma anche flop di noti brand come Kartell. Durante lo sviluppo di un progetto possono emergere imprevisti legati all’aspetto espressivo dell’oggetto, al suo stile, all’impatto emotivo sull’utente.
E ancora, errori legati alla complessità del design o all’eccessivo minimalismo di cui non si era tenuto conto in fase di ideazione e progettazione. Se alcune idee impossibili trovano una via di realizzazione, sono di gran lunga in numero maggiore le idee che da possibili diventano impossibili. Tanto più se si cerca di innovare, sperimentare, esplorare territori sconosciuti e incerti. Chi non fa ricerca e non sperimenta non sbaglia, certo. Ma senza ricerca non si innova.
Le 3 regole d’oro
La prima regola è tenere sempre a mente che aver avuto successo non vuol dire non aver mai fallito. Anzi dal punto di vista statistico è vero il contrario. Affinché una idea abbia successo bisogna aver sperimentato per prove ed errori un numero di volte superiore alla media. La seconda regola è fare e sbagliare. Non nascondendo gli inciampi perché il rischio è la reiterazioni degli stessi errori. La terza regola è archiviare gli errori. Gli archivi sono un patrimonio di conoscenza unico che preservano e tramandano la ricchezza delle esperienze umane e la bellezza dell’imperfezione attraverso il tempo. E voi che lezione avete appreso? Se vuoi raccontarmi la tua storia, scrivimi qui: redazione -chiocciola – startupitalia.eu