L’ultimo rapporto Air Transport IT Insights di SITA – fornitore globale di tecnologie informatiche per l’industria del trasporto aereo – racconta che il 70% delle 292 compagnie aeree intervistate prevede di far ricorso alla biometria per migliorare l’esperienza dei propri passeggeri entro il 2026 mentre il 90% dei 383 aeroporti di tutto il mondo intervistati la sta già utilizzando o, almeno, ci sta già investendo in maniera crescente per esigenze di sicurezza e accrescere l’efficienza dei propri servizi. Tutti – o quasi tutti – d’accordo che siamo appena all’inizio perché la vera rivoluzione arriverà nei prossimi mesi con la combinazione delle straordinarie potenzialità offerte dalla biometria e quelle non da meno derivanti dall’impiego di soluzioni di intelligenza artificiale.
Per cosa è usata la biometria
Le forme di impiego attuali e prossime venture sono le più disparate. I dati biometrici – generalmente quelli estratti dal nostro volto – possono sostituire le carte di imbarco, possono accelerare il controllo dei passaporti e, in prospettiva, anche far venir meno l’esigenza di esibirlo, possono essere usate per velocizzare le operazioni di imbarco e ritiro dei bagagli e possono essere utilizzati al posto delle carte di credito per fare shopping nelle aree aeroportuali e a bordo degli aeroplani.
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Qualcuno dirà – e in tanti certamente lo pensano – che è tutto semplicemente straordinario, che viaggiare diventerà sempre più facile, che la biometria ci consentirà di partire lasciando a casa ogni simulacro di burocrazia e con le tasche più leggere. E, naturalmente, guai a negare che potrebbe essere così e, anzi, che verosimilmente sarà proprio così perché mai come in questo caso le forze dei mercati e quelle dei governi sembrano alleate e egualmente convinte che questa sia la rotta da tenere senza esitazioni e perdendo meno tempo possibile in fase di decollo.
L’atterraggio sia sicuro anche per i dati
Però se vogliamo – tanto per restare al lessico e alla metafora aeroportuale – che l’atterraggio sia sicuro, democraticamente sostenibile, privo di incidenti, forse, vale la pena porsi qualche domanda in più e trovare la forza di resistere alla tentazione di lasciarsi entusiasmare troppo in fretta dalle mirabolanti opportunità innegabilmente offerteci dalle nuove tecnologie.
Intendiamoci, per evitare ogni equivoco, porci qualche domanda non per rinunciare sempre e comunque all’innovazione per paura dei suoi effetti collaterali, ma solo per capire come usarla in modo da massimizzare le opportunità – se non per tutti, almeno, per i più -, limitando i rischi che sappiamo essere ineliminabili e rappresentare sempre e comunque, l’altra faccia della medaglia di ogni innovazione, in ogni ambito.
La questione è, più o meno, sempre la stessa: bilanciare i vantaggi con gli svantaggi mettendo sulla bilancia i vantaggi in termini economici, in termini di aspettativa di sicurezza, di risparmio dei tempi e di utilità e semplicità con la compressione dei diritti e delle libertà che il ricorso a questo genere di tecnologia inesorabilmente impone.
E non è che dove si registri una compressione di un diritto sia necessario concludere che occorre rinunciare al ricorso a quella tecnologia ma, semplicemente, occorre chiedersi se vale davvero la pena comprimere quel diritto per accedere ai vantaggi offerti dalla tecnologia in questione e, soprattutto, se i vantaggi in questione – piccoli o grandi che siano – possano essere egualmente percepiti comprimendo di meno il diritto che entra con loro in conflitto.
Un’operazione che è più difficile pensare di dover fare che fare per davvero. Ad esempio, nel corso di una sperimentazione in un aeroporto americano è emerso che il ricorso all’identificazione biometrica dei passeggeri consente di risparmiare oltre un minuto sull’operazione di drop off del bagaglio, abbattendone la durata media a circa trenta secondi e di far passare il tempo medio di verifica dei documenti in fase di imbarco da 25 a 10 secondi.
Questione (anche) di buon senso
Certo, tutti intervalli di tempo modesti, che, tuttavia, se sommati permettono indiscutibilmente una sensibile riduzione delle code specie negli aeroporti più trafficati. E, tuttavia, non si può non chiedersi se questi vantaggi siano sempre proporzionati al rischio che si corre quando si consegna a un terzo l’impronta biometrica del nostro viso, correndo, inesorabilmente, il rischio di perderne per sempre il controllo.
Ma, come si è anticipato, non è detto che la risposta alla domanda debba necessariamente essere binaria, si o no: si può anche rispondere prendendo atto dell’inestimabile valore dei nostri dati personali e, in particolare, di quelli biometrici e, quindi, progettare soluzioni e servizi, quando si ritenesse comunque effettivamente necessario il ricorso alla biometria, assumendo accorgimenti e garanzie proporzionate al valore in gioco.
L’importante, insomma, è pensarci e non cedere mai alla tentazione di trasformare il tecnologicamente possibile come l’unico parametro alla stregua del quale valutare se una nuova idea di business o, semplicemente, di gestione di un business preesistente, sia una buona idea. Ma di biometria, intelligenza artificiale e trasporto aereo, c’è da scommettere che nei prossimi mesi torneremo a parlare.
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