Dopo l’esperienza a Ostia con un’associazione che formava i giovani sul digitale, Stefano Tacconi ha lavorato in Google. In Catalogna ha fatto nascere Workfully, piattaforma che consente di assumere e formare talenti. Nuova puntata per la nostra rubrica Italiani dell’altro mondo
Nel viaggio tra gli Italiani dell’altro mondo non avevamo finora avuto il piacere di atterrare a Barcellona. La capitale catalana è una delle mete turistiche più apprezzate a livello internazionale, destinazione per milioni di turisti e studenti che qui arrivano attirati dalla qualità della vita e dalla ricchezza in termini di cultura e servizi. «Se guardiamo al sud Europa credo sia il migliore hub per fare impresa». Stefano Tacconi, 37 anni di Roma, qui ha fondato Workfully insieme all’amico Valerio Rossi, azienda che ha appena raccolto il round seed da 1,2 milioni di euro. La sua è una storia di imprenditoria che si potrebbe definire insolita, anche se ci siamo ormai abituati al fatto che ogni profilo racconta un percorso unico. In altre parole: non ci sono particolari standard. Il viaggio di Stefano e Valerio ha inizio una decina di anni fa a Ostia, dove insieme hanno lanciato una Ong per formare i giovani sul digitale e poi proporli nel mondo del lavoro. «Era un’associazione, ma aveva le sembianze di una startup».
Quel che serve
Ogni esperienza nella vita è utile, anche se appare lontana da quel che si sogna vagamente di fare. Dopo le scuole superiori Stefano Tacconi ha deciso di posticipare l’ingresso all’università per lanciarsi in un’altra esperienza: l’Australia. Là è stato per un paio d’anni, rafforzando anzitutto le proprie competenze linguistiche. La voglia di mettersi in gioco all’estero non sarebbe certo scomparsa. Rientrato a Roma ha iniziato a lavorare per una catena di hotel nel reparto sales, seguendo nel frattempo l’università con studi in comunicazione. «Parallelamente a tutto questo ho anche deciso di fondare una Ong, Yut Roma ed è lì che ho conosciuto Valerio».
Come realtà associativa ha iniziato a macinare e a farsi notare, soprattutto grazie all’impegno dei volontari. «Ho imparato a essere molto convincente, e tutto questo si è rivelato spendibile per quanto riguarda il business. In associazione ho imparato a delegare, trovare persone, organizzare eventi, costruire contatti con stakeholder. Insomma, è stato grazie a quella esperienza che sono riuscito a entrare in Google». Nell’intervista con Stefano Tacconi è emerso un particolare interessante riguardante le risorse umane di una multinazionale simile. «Se vedi il background delle persone che lavorano a livello commerciale in Google molti vengono selezionati tra chi ha avuto esperienze imprenditoriali. L’importante è saper costruire relazioni». Dopo aver lasciato l’Italia e chiuso la parentesi con l’associazione, Valerio si è subito diretto a Barcellona, mentre Stefano ha preso il volo per Dublino, dove nel 2016 ha iniziato come account manager a Big G.
Saper vendere un’idea
Più volte abbiamo intercettato storie di ex dipendenti di Google (qui trovate quella di Paola Marinone e qui quella di Edoardo Mainella). Oltre a esser un posto di lavoro ambito per chi opera nel settore innovazione, la Big Tech – come molte altre – è anche una palestra per futuri imprenditori e imprenditrici. L’occasione per Stefano di ripartire con qualcosa di suo si sarebbe ripresentata un paio di anni dopo, quando ha deciso di raggiungere Valerio a Barcellona e iniziare a capire se, insieme, avrebbero potuto gestire anche una startup. Workfully è una di quelle realtà covate durante il periodo della pandemia e lanciate in un periodo di grandi dinamismo per le aziende innovative. «Abbiamo iniziato a proporre l’idea a potenziali clienti quando Workfully era solo un pdf. All’inizio ci siamo focalizzati sulla formazione per creare posti di lavoro per persone che appartengono alle minoranze. Il tema era la diversity inclusion».
Oltre però alla diversity c’è un altro tema centrale e urgente per le aziende: la ricerca e la selezione dei talenti. «Noi partiamo dalle necessità di talento di una azienda: capiamo quali sono i ruoli più critici, quelli che non riescono a coprire. E a quel punto andiamo a fare una selezione di candidati che non si basa tanto sulle skill, quanto sul potenziale. Sono spesso profili junior». Come ci ha spiegato il cofounder di Workfully la startup ha chiuso il 2022 in profitto con un milione di euro di entrate e 200 profili formati. «Il nostro business si basa sulle aziende che pagano una fee su ogni candidato assunto». A Barcellona i due amici e soci hanno trovato di nuovo un progetto da portare avanti, in una città che continua ad attirare talenti. «Dopo Brexit diverse aziende hanno scelto questo hub per il sud Europa».