«Vivevamo in Polonia, in una città molto piccola. Per mia madre era importante garantirmi il miglior futuro possibile. Credo siano diversi i motivi per cui le persone lasciano un Paese». In Italia, è pacifico, in pochissimi pensano che chi arriva da lontano possa generare ricchezza e farci crescere come collettività. Del resto, la storia delle migrazioni è un susseguirsi di paure e ideologie contro il diverso. Martin Olczyk ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza da migrante, trasferendosi da bambino in Germania. Oggi è managing director di Techstars, società americana che negli anni ha investito in oltre 4mila startup early stage, con sedi in tutto il mondo. A Torino, dove Martin vive, l’acceleratore opera da diversi anni.
La storia di Martin Olczyk ricorda quelli di altri underdog che abbiamo raccontato sul magazine. Persone partite da condizioni di partenza difficili e che sono riuscite ad affermarsi nei rispettivi ambiti. Basta scorrere il suo profilo LinkedIn: investitore in oltre 70 startup. «Sono uno che abitualmente investe in startup in fase early e le porta da 0 a 1», ci ha raccontato parafrasando una delle espressioni più famose di Peter Thiel, il cofondatore di PayPal e gigante della Silicon Valley. In questa nuova puntata della rubrica dedicata al mondo degli investitori e dei Venture Capital ci concentriamo su una storia che racconta di opportunità e sfide.
Techstars, in breve
Prima di focalizzarci sul profilo di Martin Olczyk, diamo qualche numero e riferimento sulla realtà in cui lavora. Fondata nel 2006 da David Cohen, Brad Feld, David Brown e Jared Polis, in Colorado, offre programmi di accelerazione tra i più famosi al mondo. Sommando la valutazione di tutte le realtà in cui ha investito esce la cifra di 110 miliardi di dollari. Tra queste società 20 sono diventati unicorni. «Contiamo su 54 programmi di accelerazione in 30 città nel mondo. Per quanto mi riguarda investo sempre in 12 startup alla volta».
L’approccio di Techstars concentra tutte le attività in tre mesi. «Nel primo le aziende incontrano gli attori dell’ecosistema, diamo loro accesso a circa 120 mentor: è la fase in cui stabiliscono una strategia; nel mese successivo si passa all’execution, molto velocemente». Infine c’è la preparazione al Demo Day, quando i founder pitchano le propria idea davanti a una platea di stakeholder e investitori.
La storia di Martin Olczyk
Torniamo però al protagonista della puntata odierna. Martin Olczyk è nato in Polonia da dove poi si è spostato con la famiglia in Germania, nel 1990, quando aveva dieci anni. Vicino a Stoccarda ha avuto la possibilità di entrare in contatto con un altro tipo di economia, all’inizio di un nuovo periodo storico per l’Europa, a pochi mesi dal crollo del Muro di Berlino e all’inizio del dissolvimento dell’Unione Sovietica.
«Lo dico sempre ai miei Founder – ci racconta Martin Olczyk -. Ho vissuto in un’area piena di persone che mi hanno ispirato. Invece di giocare ricordo che mi sentivo motivato guardando i miei amici, che arrivavano a scuola su belle macchine, abitavano in grandi case e vestivano molto meglio di me. Mi chiedevo: come posso arrivarci anche io?».
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Il primo PC e l’alba di internet
Nel corso dell’intervista è emerso chiaramente il ruolo fondamentale della famiglia, con genitori disposti a compiere sacrifici pur di preparare il figlio a una vita migliore, fornendogli strumenti preziosi. Come il primo computer. «Me l’hanno regalato nel 1992. Così ho iniziato a scrivere codice e a divertirmi a sviluppare». Durante gli anni Novanta Martin Olczyk si è formato e ha studiato, ma come ci ha confidato mica pensava agli sviluppi lavorativi.
«Onestamente, all’epoca mi piaceva molto giocare e fare cose con i computer. Poi ho iniziato a leggere molte riviste di informatica. Stava spuntando internet. Così quando ho iniziato l’università mi era chiaro il percorso che avrei scelto. Molti mi dicevano che stava esplodendo la bolla, che non avrei avuto futuro». Il touch point con il mondo startup è datato proprio all’inizio del nuovo millennio, ai tempi dell’università (ha studiato economia). In particolare c’era un professore che, nel 2004, raccontava agli studenti come traferire il know how in ambito startup dagli Stati Uniti all’Europa. «Aveva fondato molte aziende nel corso della sua vita».
Una delle prime esperienze lavorativa di Martin Olczyk è stata un impiego in una banca di investimento. Presto ha però deciso di mettersi in proprio lanciando alcune aziende tra Asia ed Europa: a Hong Kong ha fondato la fintech GeeXstar, per poi passare a un coworking in Germania; nel cv ha anche un’exit con Cunesoft, data company in ambito life science acquisita nel 2020 da Phlexglobal.
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L’ottimismo come linea guida
In ambito investimenti e Venture Capital è importante per un founder essere consapevole del fatto che chi sta dall’altra parte del tavolo ha vissuto la fase di entusiasmo e incertezza tipica di quando si lancia un nuovo progetto. «Quanto successo negli ultimi 12-18 mesi è stato un sano consolidamento del mercato. Veniamo da un periodo di grande hype nel mondo VC e startup: molte persone hanno raccolto finanziamenti ancor prima di cercare soluzioni ai problemi. Si è creata un enorme bolla».
A distanza di quattro anni dalla pandemia, le incertezze sono se possibile aumentate e fare impresa resta complesso e sfidante. Di recente una ricerca pubblicata da Sifted ha riportato che, su 156 founder intervistati, quasi la metà avrebbe intenzione di rinunciare e tentare altre strade. Ci si potrebbe buttare sull’AI, ma la concorrenza globale è tra le più accese. Eppure Martin Olczyk guarda il bicchiere mezzo pieno.
«Le aziende che hanno il diritto di esistere, ovvero quelle che hanno costruito qualcosa di cui i mercati hanno bisogno, continueranno a innovare e a crescere. Lo stesso vale per gli investitori. Tutte le aziende innovative, dalle early stage fino a quelle che si preparano all’IPO, creeranno opportunità. Sono sempre molto ottimista, forse perché provengo da un mercato emergente».
Anche se, a dirla tutta, quando è arrivato in Italia Martin Olczyk si è trovato di fronte a uno scenario ancora embrionale. «Ma negli ultimi cinque anni la situazione è migliorata di molto. C’è un ecosistema fiorente, sia lato startup sia lato investitori. Le città incoraggiano l’imprenditorialità». Dalle difficoltà emergono le storie di successo, e non è un cliché. «A chiunque voglia buttarsi consiglio sempre di partire dal problema. Se l’AI è un modo per risolverlo ben venga. Ma non è l’unica strada su cui concentrarsi».