A StartupItalia l’astrofisica Patrizia Caraveo commenta il debutto del piccolissimo Stato tra le nazioni interessate all’esplorazione spaziale. L’Agenzia Spaziale Italiana ha finanziato il progetto e la scaleup D-Orbit si è occupata del “trasporto”
Fino al 12 giugno scorso, le ragioni per progettare, costruire e mettere in orbita un satellite andavano cercate in ambito militare, scientifico o commerciale. Con il lancio di Spei Satelles a queste categorie se ne è aggiunta un’altra squisitamente morale, che ha visto l’entrata del Vaticano nel mondo dello spazio. SpeiSat, come viene chiamato per brevità, è un progetto nato da un’idea del team dell’Apostolato Digitale che si è riproposto di portare nello spazio il messaggio di speranza contenuto nella preghiera che Papa Francesco fece il 27 marzo 2020, nel pieno della pandemia, in una Piazza San Pietro deserta. Sotto la supervisione del Dicastero della Comunicazione della Sante Sede, il messaggio del Papa, già ripreso nel libro Perché avete paura? Non avete ancora fede? Statio Orbis 27 marzo 2020, è stato trasformato in un nanobook (di 2×2 mm) da un team dell’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Un progetto da startup
Per portare in orbita la chip di silicio con il messaggio di speranza è stata necessaria una “carrozza” che è stata costruita da un gruppo di studenti del Politecnico di Torino. Si tratta di un cubesat della classe 3U, cioè costituto da tre cubi da 10 cm di lato a formare un parallelepipedo lungo 30 cm con la base 10×10 cm. L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) ha finanziato il progetto e, oltre alla costruzione del cubesat, ha coperto le spese di lancio e di inserzione in orbita all’interno di un contenitore-dispenser dell’italiana D-Orbit che ha liberato SpeiSat al momento giusto perché si inserisse in un’orbita eliosincrona, che sorvola le diverse regioni del mondo sempre alla stessa ora locale. È stata scelta l’orbita alba tramonto con l’idea che il satellite trasmettesse, sulle frequenze radio utilizzate dai radioamatori, messaggi di speranza e di pace che dovrebbero raggiungere gli ascoltatori insieme ai primi raggi del Sole che sorge. In un quadro geopolitico dove lo spazio acquisisce una sempre maggior valenza militare (di offesa e di difesa) SpeiSat vuole aprire un nuovo fronte, quello della speranza. Non vuole incutere timore, ma piuttosto confortare, utilizzando le tecnologie più avanzate anche per dimostrare che la tecnologia non è intrinsecamente né buona né cattiva, tutto dipende dall’uso che se ne fa.
Il nome di battesimo
Ho sentito raccontare la storia di SpeiSat da don Luca Peyron a maggio, allo Space Festival di Torino. Lui ne parlava come un sogno che si era realizzato grazie ad un significativo aiuto dall’alto. Tuttavia, avendo lavorato a diverse missioni spaziali, so benissimo come sia difficile mettere insieme tutti i pezzi del puzzle che sono economici, tecnici e manageriali. Mi sono molto ritrovata anche nel dibattito a proposito della scelta del nome. All’inizio avevano pensato a qualcosa del tipo PapaSat, ma poi hanno preferito non legare direttamente il progetto al Papa, ma piuttosto al messaggio. La speranza declinata in latino, lingua della chiesa.
Quindi satellite della speranza è diventato senza sforzo Spei Satelles dal momento che il sostantivo satelles esiste e significa scorta, difensore, guardia del corpo. Certo è stato un bellissimo progetto per gli studenti di ingegneria aerospaziale che hanno lavorato furiosamente per realizzarlo in appena cinque mesi durante i quali hanno dovuto impegnarsi a mantenere assolutamente segreto il loro lavoro. Nessuno doveva sapere che stavano lavorando per costruire il primo satellite del Vaticano la cui esistenza è stata annunciata al pubblico il 27 marzo 2022, in occasione della benedizione del Cubesat che si apprestava a partire per la base di lancio di Vanderberg, in California dove sarebbe partito a bordo di un Falcon 9, all’interno del dispenser delle D-Orbit.