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Dalla Stazione Leopolda di Firenze, la prima edizione del Prevention Summit promossa da Sanofi Pasteur dedicata alla ricerca
Prevenzione, telemedicina, dati predittivi: quali sono le nuove frontiere della ricerca in un tempo così critico come quello che stiamo vivendo? Sanofi Pasteur ha realizzato alla Stazione Leopolda di Firenze la prima edizione del Prevention Summit, una kermesse stand alone a porte chiuse anticipata però dall’anteprima Prevention Summit trasmesso online e sui social. Potete rivederlo qui
Durante il Prevention Summit, igienisti, professori, virologi, pediatri, neonatologi, medici, esperti, professionisti e farmacisti si sono confrontati sulle nuove frontiere della prevenzione e della salute. Fare rete diventa un must. Tutto questo significa connettere sempre più e sempre meglio la sfera dei media con quella scientifica, al fine di fornire una corretta informazione. Il ruolo dei vaccini, considerati oggi una cintura di sicurezza, è stato uno dei main topic al centro dell’evento. “La pandemia ha ridefinito i confini della telemedicina e più in generale dei servizi a valore aggiunto anche digitale legati alla prevenzione – ha affermato Mario Merlo, General Manager di Sanofi Pasteur – La condivisione dei dati in tempo reale sarà fondamentale non solo per ridisegnare nuovi percorsi di ricerca, ma anche per prevenire in tempo reale potenziali rischi”. Dati, app, tecnologia e poi ovviamente gli elementi di comunicazione: il virus pandemico ha segnato nuovi confini e posto al centro dell’attenzione nuove sfide in questi settori oggi centrali per la scienza. “La pandemia ha stravolto anche il modo di fare ricerca, che è diventata una collaborazione trasversale plurale e allargata. Cinque anni fa erano praticamente impensabili quelle alleanze trasversali anche con aziende competitor che oggi sono diventate un elemento comune. Oggi consideriamo doveroso mettere a fattore comune asset di ricerca scientifica, competenze, piattaforme, siti produttivi, governance e processi. Come Sanofi Pasteur, per esempio, ci siamo alleati con un’azienda competitor per lo sviluppo del vaccino anti-Covid19. Gli hub di ricerca oggi sono tutti interconnessi e guidano la scienza. Siamo passati dalla competizione alla co-creazione. In questo nuovo scenario, che è anche comunicativo, esperti di comunicazione ed esperti di scienza devono essere sempre più interconnessi. D’altronde Instagram, Facebook e i social hanno ridotto nettamente le distanze e hanno disintermediato anche i temi di salute. Ma non ci sarà solo la tecnologia nel futuro: la medicina di prossimità cambierà l’aspetto organizzativo e amplierà il proprio perimetro e, come azienda farmaceutica impegnata a farci carico delle nuove sfide di prevenzione e salute, dobbiamo essere abili a continuare a fornire servizi a livello operativo e visione in un’ottica di medio-lungo termine”, precisa Merlo.
Le nuove sfide della data health
“Quattro anni fa abbiamo organizzato percorsi di comunicazione scientifica associati a competenze digitali. La pandemia ha dato un’accelerata nella decodifica di determinati messaggi e nella condivisione e nello sviluppo di processi di comunicazione scientifica in cui gli esperti di comunicazione interagiscono direttamente con il lettore senza intermediazione. Inoltre, gli strumenti social e digitali che oggi utilizziamo quotidianamente, hanno accorciato ancora di più la lunghezza delle informazioni, sia in senso positivo che negativo, che sono diventate quasi telegrafiche perché queste informazioni sono diventate persino telegrafiche e quindi anche fraintendibili”, puntualizza Merlo, che richiama espressamente al progetto #PerchéSì, il contest e hackathon col quale Sanofi Pasteur si è aperta a tutti i vari stakeholder. Per la comunicazione scientifica, la sfida centrale nei prossimi anni sarà quella di essere sempre più capace di fornire informazioni brevi, chiare, efficaci, concise e quanto più efficienti possibili. Un tema molto di cui si è parlato spesso in questi ultimi mesi e che ha approfondito anche Adriana Albini, direttrice del laboratorio di Biologia Vascolare ed Angiogenesi dell‘IRCCS Multimedica di Milano, unica italiana nella lista BBC 100 Women of 2020 ed eletta nel Board of Directors dell’American Association for Cancer Research: “Sulla comunicazione durante la pandemia si sono commessi errori a vari livelli: si è data poca importanza all’attività dei laboratori della ricerca, che, in Italia, sono anche stati chiusi per far lavorare i clinici, mentre la malattia andava studiata dall’inizio – spiega la professoressa a StartupItalia – La comunicazione è stata molto veloce e sono state dette cose che non si sapevano, scoordinate dalla realtà. Credo che, in generale, sia stato sottovalutato l’impatto del virus mentre l’adozione di misure più drastiche all’inizio avrebbero risolto qualcosa e si è fatto terrorismo sulla campagna vaccinale che, invece, dà risultati sorprendenti. Inoltre, ci tengo a ribadire una differenza sostanziale che anche oggi troppe volte viene confusa: ovvero i positivi al virus con i casi di malattia grave, che sono due cose molto diverse”.
Le nuove frontiere del biotech
“La telemedicina, la digitalizzazione e la medicina del territorio e in rete sono elementi centrali nel PNRR. Una rivoluzione che, sicuramente, deve essere accompagnata da un’interdisciplinarietà e da una rete territoriale. Se si fosse investito di più in telemedicina e nello sviluppo, da parte delle startup, di app che si occupano di questo prima del Covid, tante situazioni spiacevoli si sarebbero potute evitare. Tante persone sono state a casa finché non è stato troppo tardi – afferma la professoressa Albini – Investimenti, crowdfunding, e promozione di piccole realtà imprenditoriali, negli USA sono il pane quotidiano mentre in Italia c’è ancora tanto lavoro da fare. C’è una dimensione di rischio che deve essere organizzata con finanziamenti a fondo perduto perché il nostro paese è molto talentuoso e si può fare molto di più”. Della stessa opinione è anche la professoressa Adriana Maggi, professoressa ordinaria di farmacologia all’Università degli Studi di Milano e premiata recentemente dall’European Research Council, che a StartupItalia ha dichiarato: “Nel mondo globalizzato e iperconnesso in cui viviamo, la privacy non esiste più, ma quello che ci tengo a far emergere è che i dati sono, prima di tutto, del paziente. Quello che interessa agli ospedali è raccoglierli in forma aggregata, non individuale. Proprio per questo voglio sfatare questa paura della personalizzazione e della perdita della privacy. Inoltre, i comitati etici degli ospedali stessi devono fare di più perché spesso sono loro stessi a frenare l’avanzamento tecnologico mentre occorrerebbe che difendessero il cittadino e lo proteggessero: cosa che è possibile, nei limiti, fare grazie proprio al supporto di strumenti di telemedicina studiati dalle startup, che vanno favorite e finanziate perché sono loro che hanno portato allo sviluppo di certi prodotti farmaceutici. Quello che, invece, spesso in Italia accade è che tante buone idee, e in questo Paese abbiamo numerosi talenti, vengono finanziate da investitori esteri, per migrare oltre i confini nazionali. Io insegno biotecnologie da oltre 40 anni e posso dire con certezza che le biotech sono il futuro. Vanno realizzati più centri di innovazione, all’interno dei quali avvalersi anche della collaborazione delle big pharma, così come rendere più accessibili investimenti pubblici e privati. I giovani universitari di oggi hanno un mindset che è molto diverso da quello dei miei tempi: sono più vicini e predisposti al mercato, ma mancano chi finanzi le loro idee. Un esempio? Io insegno alla Statale, dove c’era un Chief Technology Officer che è stato abolito. Finchè non si capisce la centralità e l’importanza di figure come questa, non si va da nessuna parte”.
Donne e scienza: un gender gap ancora molto evidente
“Il problema è interrogarsi sulle opportunità della donna nella scienza perché ancora ci sono tante problematiche nello sviluppo di una carriera – dice la professoressa Albini – Non se ne dovrebbe fare una questione di genere, anche se oggi ci sono stati finanziamenti ad hoc proprio per l’inserimento delle donne nel mondo scientifico. Quello che conta è parlarne in in un tavolo misto”. “La mamma del vaccino MRNA era una donna ed era con noi fino a qualche settimana fa”, ha affermato il prof. <strong>Alberto Mantovani, presidente della Fondazione Humanitas per la Ricerca, durante l’anteprima di Prevention Summit: “E proprio i vaccini saranno la nostra cintura di sicurezza. I virologi definiscono il nostro sistema immunitario come un’orchestra da cui dipende il nostro corpo in relazione con l’esterno. Di questa orchestra, oggi non conosciamo ancora tutti gli orchestrali”.
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Vaccini: cosa resta ancora da fare
“Usare armi immunologiche contro il cancro è un percorso che è stato segnato da insuccessi e che ha attraversato anche la mia storia personale – ha affermato il prof. Mantovani – Il cancro non è solo la cellula tumorale, ma conta anche la nicchia ecologica dove si sviluppa il tumore e qui risiedono le difese immunitarie corrotte. Identificare paradigmi e molecole nel sistema immunitario e studiarli nello sviluppo delle cellule tumorali è la sfida. In questo anno e mezzo abbiamo fatto progressi nel comprendere l’interazione del virus. Progressi che sono anche stati segnati da insuccessi perché non hanno funzionato gli antivirali da HIV; il plasma che, pure, ha la radice dell’immunologia; i corticoidi e, infine, gli anticorpi monoclonali. Speriamo di avere dei nuovi antivirali presto anche se tutto questo non è alternativo alla prevenzione e al vaccino e quando ci si chiede se i vaccini siano sperimentali dobbiamo pensare che anche l’aspirina è sperimentale. Grazie al vaccino contro la polio, è stata eliminata la polio ma non abbiamo aspettato 10 anni per sperimentarlo; così come è accaduto per la rosolia. Restano da chiarire gli effetti sui pazienti fragili e sul loro sistema immunitario; non abbiamo protezione e sappiamo molto poco di cosa succede nelle mucose delle vie respiratorie e questa è un’altra sfida. Inoltre, c’è sempre tanto da fare per le zone più povere del mondo che ancora un vaccino non lo hanno ricevuto. Nel Sud Sudan sta arrivando adesso ed è destinato, prima di tutto, agli operatori sanitari”. “L’impegno nella lotta contro il Covid è urgente, così come l’investimento della ricerca – conclude Francesca Trippi, Medical Head di Sanofi Pasteur – Lo studio e lo sviluppo dei vaccini e di strumenti preventivi è centrale, così come lo è incentivare le partnership pubblico-privato e concentrarsi sull’importanza del fattore tempo, oggi essenziale nella medicina predittiva”.