«Se partiamo dalle paure o dall’hype rispetto all’intelligenza artificiale, rischiamo che le imprese investano tempo e soldi su qualcosa che non useranno». La rivoluzione dell’AI, a un anno e mezzo di distanza dal rilascio di ChatGPT, è in corso ma a volte è bene fermarsi per capire che direzione sta prendendo la tecnologia. E interrogarsi sul ruolo fondamentale delle persone.
Massimo Chiriatti, Chief Technical & Innovation Officer di Lenovo, è tra gli esperti in materia. Nell’intervista a StartupItalia, seguita al suo intervento tenutosi durante un illimity Meet in collaborazione con IAB, in cui ha parlato del rapporto tra uomo e macchina in questi tempi di frontiera, Chiriatti ha focalizzato l’attenzione non tanto sul software in sé, ma sul contesto generale. Come si può far sì che l’Italia intercetti il cambiamento? La partita dell’AI è riservata alle Big Tech oppure qualunque impresa può liberare il proprio potenziale?
Un’altra rivoluzione con l’AI
«Dalla pubblicazione di GPT-3 consumer e imprese hanno avuto sempre più accesso a un chatbot conversazionale. Presto il mercato si è arricchito di competitor ed è un bene perché quando si dà accesso a tutti a funzioni nuove, è in quel momento che le persone inventano». Con l’AI si potrebbe replicare il successo globale delle app generato dall’onda della rivoluzione mobile 20 anni fa. Chiriatti è andato ancor più indietro nel tempo, ricordando l’impatto che ha avuto Google. «Una schermata di ricerca pulita, semplice. Grazie a quel passaggio si è ridotto il digital divide cognitivo».
L’AI non è certo una tecnologia giovane, dal momento che ha vissuto varie fasi dal secondo Novecento in avanti. Gli esperti si sono già dati una spiegazione di queste alterne fortune (finora): l’intelligenza artificiale generativa ha bisogno dei dati per funzionare. «L’AI contiene un ingrediente famoso, i dati, che oggi sono fuori scala, fuori portata per gli esseri umani. Grazie alle informazioni che abbiamo in rete e alle infrastrutture crediamo che tutte le imprese possano aver servizi di AI con soluzioni predittive, senza spendere grossi capitali».
Un’altra questione centrale quando si parla di intelligenza artificiale contempla il modello di partenza: chiuso o aperto? Nel panorama globale OpenAI ha costretto tutte le altre realtà a prendere una posizione a riguardo. Mark Zuckerberg, che di recente ha presentato Meta AI basato su Llama 3, ha rivendicato che il futuro dovrà essere open source. «In Lenovo siamo dell’idea che a livello infrastrutturale i sistemi debbano essere più open source possibili. I clienti hanno benefici evidenti quando li utilizzano: i dati aziendali non escono dal perimetro, non vanno nel cloud: è questo che proteggerà i clienti».
Dalla robotica al fintech
Durante l’evento illimity il tecnologo ha esplorato, in dialogo con Corrado Passera, Founder e CEO di illimity e Sergio Amati, Direttore Generale di IAB, i legami tra umano e macchine sottolineando come nell’ultimo decennio la robotica sia spesso uscita dai laboratori di ricerca per invadere i social con video e meme. Il caso più celebre è quello di Atlas, l’umanoide di Boston Dynamics appena mandato in pensione per fare spazio a una nuova generazione che sarà impiegata per scopi commerciali. Per quanto sorprendenti, i passi avanti nel settore richiedono ancora tempo.
Chiriatti l’ha chiamata AI multimodale. «Significa che deve fare esperienza del mondo. Se in ambito digitale, come con i testi, si sono raggiunti risultati incredibili grazie all’intelligenza artificiale, nella realtà fisica tutto è più complesso, con una personalizzazione enorme. Parliamo di contesti imprevedibili. Se alleno un robot in casa mia non riuscirà a muoversi con la testa facilità nella tua».
C’è poi un altro settore, in cui invece la tecnologia ha traghettato imprese e clienti molto più velocemente verso il cambiamento: il fintech. «Il comparto ha i dati, necessita di incrementare la produttività e deve adeguarsi a una regolazione stringente. Ho seguito molto il fintech in passato e credo che sarà tra i primi settori a sviluppare sistemi basati sull’AI». Potrà capitare anche in Italia? «Dobbiamo far succedere le cose. Ci sono talenti, che rischiano di non essere coinvolti. In Italia ci sono grandi isole di competenze e come Lenovo facciamo una grande opera di formazione».
Nelle previsioni (e speculazioni) sul futuro molti si interrogano su cosa cambierà. Lavoreremo di meno? Lo smart working sarà molto più diffuso di oggi? I compiti più noiosi saranno svolti da software e macchine? È d’altra parte prezioso chiedersi cosa resterà intatto in un mondo dove l’AI non sarà più la frontiera di oggi, ma un terreno comodo per tutti. «Oggi non si parla più di internet, è come se fosse sotto al cofano. Sarà così anche con l’AI. Non ne discuteremo più perché sarà scontata. A non cambiare mai saranno i desideri delle persone».