Hanno vinto tutti, non ha vinto nessuno. Anche Oltreoceano gli osservatori sono divisi su come interpretare la decisione del giudice californiano nella vicenda relativa ai pagamenti in-app
EDIT 13/09: Una prima versione di questo articolo lasciava intendere che Apple stesse ipotizzando di ricorrere contro la decisione del giudice nella causa in corso in California. L’articolo è stato modificato per porre maggiore enfasi sul fatto che, a oggi, Apple non intende presentare appello.
Cosa è successo realmente nell’aula tribunale presieduta dal giudice Yvonne Gonzalez Rogers è materia da azzeccagarbugli: non perché la sentenza pubblicata nella giornata di venerdì non contenga precise indicazioni per entrambe le parti in causa, ma soprattuto perché è difficile a oggi comprendere e prevedere tutte le conseguenze che questa situazione potrà avere per Apple, Epic e più in generale per il mondo di chi sviluppa app per le piattaforme mobile. È forse proprio questo il punto: Epic ha provato a mettere in discussione uno dei fondamenti, fin qui, di questo mondo e ora il sasso tirato nello stagno sta producendo piccole increspature sulla superficie. Se risveglierà un mostro sopito sul fondo non è ancora detto che accada, di sicuro il tonfo è stato sentito dappertutto: anche a Cupertino.
Un verdetto contestato
Innanzi tutto, una doverosa premessa: Epic ha già annunciato, e già depositato, un ricorso contro la prima sentenza. Da parte sua Apple si ritiene invece già soddisfatta dall’esito del procedimento in tribunale. Al contrario di quanto succede nel nostro ordinamento, negli USA il ricorso sarà un ring in cui gli avvocati continueranno a misurarsi a colpi di carte bollate per provare a puntualizzare, confutare, ribadire e irrobustire le proprie posizioni nella speranza che ciò possa fornire a un giudice una ragione per prendere in considerazione una modifica delle disposizioni decretate nella prima sentenza. Non ci sarà, insomma, un vero secondo processo: non per ora almeno, e non è prevedibile che ciò accada.
Entrambe le aziende, comunque dicevamo, hanno qualcosa da dire su quanto è stato deciso fin qui. Per esempio, questo era tutt’altro che chiaro venerdì a caldo dopo la sentenza, Epic sarà tenuta a pagare gli arretrati: i proventi ottenuti scavalcando il sistema di pagamento integrato di iOS dovranno essere “tassati” del 30 per cento per dare a Apple ciò che ad Apple spetta (si parla di almeno 3 milioni di dollari). A questo si uniscono le puntualizzazioni che Apple ha voluto già fare con la stampa, soprattutto citando passaggi specifici delle 180 pagine di cui è composta la sentenza: ad esempio un portavoce ha spiegato che “La Corte ha confermato, dopo aver analizzato le prove fornite in un processo durato 16 giorni, che Apple non è un monopolista in alcun mercato di rilievo e che i suoi accordi con gli sviluppatori di app sono legali secondo le leggi antitrust”.
Ciò che però il giudice ha detto, parafrasando, è che Epic non è riuscita a dimostrare questo monopolio presunto: “La Corte può concludere che Apple esercita un potere nel mercato del mobile gaming, la Corte non può concludere che il potere di Apple raggiunga lo status di monopolio nel mercato del mobile gaming”. Questo non esclude che Epic possa convincere in appello il giudice, adducendo motivazioni e argomentazioni differenti, che questo monopolio sussista: ma per ora l’unica sensibile vittoria ottenuta è stata quella di ottenere dal giudice la concessione che un sistema di pagamento alternativo, a quello di Apple, possa essere messo a disposizione dei clienti. Come: beh, come è un altro paio di maniche.
Apple non ha perso, Apple non ha vinto
A freddo, proviamo a ragionare su cosa succederà ora su App Store: Epic, e chiunque lo desideri a questo punto, potrà provare a innestare nella propria app un sistema di pagamento differente da quello ortodosso chiamato “IAP” (In App Purchase), ovvero quello che Apple mette da qualche anno a disposizione degli sviluppatori e che semplificando prevede una suddivisione dei guadagni con il 70 per cento che va a chi ha prodotto la app e il restante 30 ad Apple per aver messo a disposizione l’infrastruttura (ma ci sono altri accordi specifici con i piccoli sviluppatori che cambiano un po’ le cifre in ballo). Apple per ora non ha ancora reso noto come intende rispettare questa indicazione, ed è facile immaginare che si prenderà tutti i 90 giorni concessi dalla sentenza per far sapere come intende agire: anzi, visto che una mozione da parte di Cupertino è scontata, non stupirebbe neppure che gli avvocati dell’azienda ottengano una sospensione per questi termini e un qualche tipo di dilazione temporale per la sua efficacia.
Epic, da parte sua, non ha ottenuto riscontro positivo rispetto ad altre richieste e speranze che nutriva: niente possibilità di caricare app su un terminale iOS in modo differente da App Store, niente possibilità di creare store alternativi, il giudice ha anche stabilito che ha violato il contratto sottoscritto con Apple in merito alla presenza sulla sua piattaforma. Messa così parrebbe quasi una sconfitta completa, ma attenzione a non cadere nella narrativa di entrambe le parti: ciascuna, lo pensano e lo scrivono in parecchi al di là dell’Atlantico, racconterà la faccenda come più si addice a promuovere i propri interessi. Anzi, il walzer è già cominciato: Apple ovviamente spera di disinnescare quanto prima questa faccenda, visto che domani ha da lanciare un nuovo smartphone e non vuole sporcare il lancio con polemiche di nessun tipo.
Certo, qualcosa dovrà cambiare e questo è un fatto. Apple proverà senz’altro a limitare l’impatto che questa sentenza avrà, ma è di fatto la prima crepa in un sistema monolitico fin qui che ha dominato il panorama mobile: è vero come sostiene Apple che a livello globale la quota di mercato detenuta da iPhone è di gran lunga inferiore agli smartphone Android, ma è altrettanto vero che il blocco da 15-20 per cento delle vendite annuali di terminali con a bordo iOS equivale a una fetta decisamente importante del mercato e soprattutto equivale al più lucroso marketplace di app del pianeta. La sua struttura, la sua concezione, è stata messa in discussione: in modo forse un po’ ruffiano da parte di Epic, che ha provato a trasformarsi in capopopolo per concentrare attorno a sé i malumori degli sviluppatori, ma ottenendo comunque che un giudice confermasse che qualcosa dovrà cambiare in seno ad App Store.
Se la storia ci ha insegnato qualcosa, pensate alla lunga vicenda che ha visto contrapposte Apple e Samsung, è che questa faccenda si trascinerà per anni ed è più che probabile che entrambe le parti faranno di quando in quando delle concessioni all’avversario, fino a trovare un nuovo equilibrio che permetta ad entrambe di ritenersi soddisfatte e ricominciare a fare affari assieme. Come appena detto, Epic non può ignorare l’importanza di App Store per i propri affari: ma è altrettanto vero che neppure Apple si può permettere di sbattere Epic fuori dalla porta, la stessa Epic che in tante occasioni (come la messa laica di lancio dei nuovi iPhone, che ci aspetta domani) è stata ospite d’onore sul palco con i suoi prodotti, e che sviluppa quell’Unreal Engine che anno dopo anno si sta facendo sempre più onnipresente non solo sugli schermi degli smartphone.