Da Brooklyn un team di giovani ricercatori ha messo a punto un metodo per creare in laboratorio ossa umane, partendo dalle proprie cellule.
Negli Stati Uniti ogni anno si contano oltre 900 mila pazienti sottoposti a interventi di chirurgia “bone-related”. La necessità di trapianto di tessuto osseo si manifesta in caso di grandi traumi, in cui si ha a che fare non con una frattura, ma con una vera e propria lacuna dell’osso, di fratture vertebrali osteoporotiche, di osteomieliti (gravi infezioni ossee), di lacune ossee dovute non a traumi ma ad asportazione di tumori e cisti ossee.
L’osso è il secondo tessuto più trapiantato dopo il sangue.
In questi casi l’osso può essere rimpiazzato con tessuto naturale autologo (dal paziente stesso, in genere prelevato dalle coste o dalla cresta iliaca), omologo (da cadaveri), o eterologo (da animali), oppure con un tessuto di sintesi.
Nonostante la scelta migliore sia l’uso di osso del paziente stesso, in alcuni casi non è possibile farlo: per esempio se la quantità di osso da asportare è troppa oppure se la sua qualità non è eccellente (ad esempio potrebbe essere osteoporotico). Da oggi, grazie a EpiBone, esiste una terza possibilità: tessuto di sintesi ma creato grazie a tessuto naturale autologo, dunque del paziente stesso.
I requisiti dei sostituti ossei
I sostituti ossei devono essere in grado di riprodurre la porosità dell’osso reale, una porosità che va dal 50% all’80% circa. Inoltre i pori del sostituto osseo devono avere dimensioni tali da garantire il passaggio di cellule e vasi sanguigni, quindi con un diametro di un centinaio di micrometri. Inoltre i pori devono essere connessi tra di loro, e non isolati, così come si può intravvedere nell’immagine qui sopra. Infine, i sostituti ossei devono garantire proprietà meccaniche e possedere i giusti requisiti biologici affinché non vengano rigettati dall’organismo del paziente ricevente.
La nuova tecnologia offerta da EpiBone, ancora in fase di test, prevede una procedura innovativa che utilizza le cellule staminali del paziente bisognoso del trapianto al fine di progettare un innesto osseo personalizzato.
Cos’è EpiBone
EpiBone è una startup biotech con base a New York, fondata nel 2012 da Nina Tandon, CEO (qui il suo talk al TED) e Sarindr Bhumiratana, CSO. La proposta di valore di EpiBone coincide con la capacità di creare in laboratorio ossa umane naturali partendo dalle cellule staminali del paziente che necessita dell’impianto per una ricostruzione ossea dovuta a un trauma.
Gli step? Innanzitutto viene prelevato dal paziente un campione del proprio tessuto adiposo, e poi viene effettuata una TAC, una scansione tridimensionale della parte della lacuna ossea. Grazie alla TAC è possibile avere una precisione assoluta di quella che la dottoressa Tandon chiama “impalcatura”, su cui poi inserire l’osso creato. Dalle cellule staminali alla formazione dell’osso passano circa tre settimane.
Come abbiamo visto in precedenza, quasi il 65% delle volte viene effettuato un trapianto con osso autologo, dove sostanzialmente viene prelevato un pezzo di osso al paziente per poterlo poi inserire dove necessario. Questa procedura può causare ovvi problemi, per il semplice fatto che nel nostro corpo non vi sono ossa superflue, benché a volte non fondamentali per mantenere le proprie facoltà motorie. Gli impianti sintetici, invece, hanno una durata limitata nel tempo, e se si è subìto un intervento in giovane età è possibile che si sia costretti a tornare in sala operatoria almeno altre 5 o 6 volte nel corso della propria vita.
Necessitano quindi nuove strade, nuovi approcci sperimentali, ed è qui che si inserisce la ricerca di EpiBone, che offre una soluzione valida e che inoltre non prevede poi l’assunzione di farmaci immunosoppressori, poiché si tratterebbe di un tessuto creato col proprio DNA, quindi senza alcun rischio di rigetto.
Lo stato di avanzamento del progetto
EpiBone oggi sta testando la propria tecnologia sugli animali, e si pensa che nel giro dei prossimi 18 mesi si possa cominciare con la sperimentazione umana. L’obiettivo è quello di lanciare il metodo EpiBone, e quindi dare la possibilità a pazienti di tutto il mondo di usufruirne, nel 2022 o nel 2023.
«Riceviamo e-mail ogni giorno da pazienti che si offrono volontari, ma non siamo ancora pronti, abbiamo bisogno di assicurarci che ogni step del metodo sia efficace e sicuro – afferma la dottoressa Nina Tandon – in questo momento ci stiamo concentrando sulle ossa sopra il collo, con lacune dovute a cancro, traumi, difetti congeniti, e chirurgia dentale. In questa zona, circa 100 mila interventi chirurgici vengono eseguiti ogni anno negli Stati Uniti».
I prossimi passi
Secondo il team di EpiBone, in un prossimo futuro si potrà pensare di ricreare in laboratorio un intero arto, il che comporta la coltura di molti tessuti: la pelle, i muscoli, le ossa, i tendini, i legamenti, eccetera. Lo stato dell’arte, ad oggi, permette di creare due tipi di tessuto in differenti microambienti, l’osso e la cartilagine, cosa che si sta rivelando già complessa.
La sfida principale, e concreta, di EpiBone è tradurre il lavoro dal laboratorio alla clinica: «dobbiamo lavorare tanto e a testa bassa – racconta la CEO al World Economic Forum – il percorso è lungo e tortuoso, ma abbiamo fiducia nel progetto, grazie anche alla nascita e crescita di tecnologie parallele di cui potremo presto usufruire, come la stampa 3D utilizzando tessuto naturale. Ciò che ci spinge a continuare e a dare il meglio con EpiBone è la volontà di perseguire il sogno per cui poter ricreare parti del nostro corpo utilizzando semplicemente il nostro DNA. È una sfida che vogliamo vincere».