Aprireste mai il vostro smartphone per provare ad aggiustarlo? Dal 2020 il quadro è cambiato radicalmente: se prima smontare un iPhone o un Galaxy S sembrava impossibile, oggi sono gli stessi brand a facilitare le riparazioni. Con alcuni limiti
Da una parte le pressioni delle autorità, sia negli Stati Uniti sia soprattutto in Europa. Dall’altra la sensibilità delle persone, che per fortuna – anche se troppo lentamente per le sfide che abbiamo di fronte – sta cambiando. Specialmente quando devono mettere mano al portafoglio. Negli ultimi anni i colossi della tecnologia hanno aperto alla riparazione dei propri dispositivi, in particolare smartphone e laptop. Una riparazione, s’intende, (un po’) più semplice, con pezzi di ricambio facilmente reperibili e a costo di produzione, talvolta anche con la fornitura in affitto degli strumenti necessari a fare da soli.
D’altronde il diritto alla riparabilità è realtà nei paesi dell’Unione Europea già dal marzo 2021. Lo stabilisce il regolamento 2021/341, che prevede appunto l’obbligo per i produttori di grandi apparecchi elettronici come lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi e televisori, di progettare i dispositivi in un certo modo (cioè facili da riparare) e di rendere disponibili i pezzi di ricambio per almeno 7-10 anni dal lancio di un nuovo prodotto. Il regolamento non include gli smartphone ma lo scorso settembre la Commissione ha fatto circolare una proposta che dovrebbe colmare questa lacuna. Come? Per esempio consentendo ai consumatori di individuare almeno 15 componenti specifici per almeno cinque anni dopo aver immesso sul mercato comunitario un nuovo modello e obbligando all’esposizione di un’etichetta più chiara sulla resistenza e la riparabilità del prodotto simile a quella già impiegata in Francia. E anche negli Usa risale all’estate 2021 un ordine esecutivo (il 14036) firmato dal presidente Joe Biden nel quale si indica alla Federal Trade Commission di predisporre regolamenti utili in questa direzione.
Microsoft
Come ricorda Mashable, fra i primi big a muoversi in questa direzione, consentendo il fai-da-te sui propri dispositivi senza che questo – tranne errori marchiani – possa invalidare la garanzia, si conta Microsoft. Era la fine del 2021 ma ovviamente ci sono dei limiti: il DIY è consentito soltanto alla gamma di laptop e tablet Surface e solo su certi modelli. È però già qualcosa. Ed esiste un sito con un pdf da scaricare grazie al quale capire se il proprio modello è fra quelli “autorizzati” alla riparazione indipendente. Si va dal Surface 2 e 3 ai laptopt 3, 4 e 5 fino al Surface Pro 7+, 8, 9 ed X. I pezzi si comprano sull’hub di riferimento del settore, iFixit.
Samsung
Non a caso proprio Samsung ha lanciato la scorsa estate, dopo Apple, un servizio di riparazioni fai-da-te in partnership con iFixit. La piattaforma offre una sezione dedicata dove individuare gli arnesi utili e le guide per (purtroppo) pochi dispositivi disponibili per gli interventi in autonomia. Si possono infatti riparare – acquistando display, batterie di ricambio o porte di ricarica – solo i telefoni delle famiglie S20, S21, S22, Galaxy Tab S7+ e Galaxy Book (novità, con l’S22, degli ultimi giorni). C’è da sperare che in futuro se ne aggiungano altri.
Stessa storia per Big G: la partnership, lanciata lo scorso anno, è sempre con iFixit ed è ovviamente dedicata all’apprezzatissima famiglia di smartphone Pixel. In questo caso, però, tutti i modelli possono essere riparati, dai più economici ai più cari, fino all’ultimo nato, il Pixel 7 Pro. Si possono acquistare pezzi originali di Mountain View per schermi e batterie e ovviamente scaricare le istruzioni per ogni dispositivo.
Apple
Se già dal 2019 Apple si era mossa in questo senso estendendo all’Europa il suo Independent Repair Provider Program, un programma di formazione gratuito per tecnici terzi destinato a prepararli sulle riparazioni degli iPhone, sempre alla fine del 2021 ha lanciato il Self-Service Repair Program. Chi se la sente, e ha le giuste conoscenze per non combinare pasticci, può mettere mano a una serie di modelli della Mela – solo iPhone 12 e 13, MacBook Air e Pro 202 e 2021, iMac 2021, il Mac mini 2020 e Mac Studio 2022 – acquistando o noleggiando gli strumenti eventualmente necessari. In futuro il parco dei prodotti su cui mettere le mani dovrebbe essere arricchito. Le parti sono quelle originali, al costo al quale vengono venduti ai riparatori autorizzati o distribuiti nei propri punti vendita, e i manuali sono scaricabili e arricchiti da guide con i colori per capire come procedere senza troppi problemi. Ma talvolta il gioco non vale la candela e il costo di noleggio o acquisto di strumenti è superiore a quello praticato da un qualsiasi centro.
Framework
Framework non è certo un gigante del tech. Ma è un esperimento interessante: si tratta di un laptop modulare che, in quanto tale, è anche facilmente riparabile. Si smonta e aggiorna – ma appunto anche ripara da soli – in modo decisamente più semplice rispetto ai concorrenti e con pezzi realizzati impiegando materiali riciclati. Viene venduto con uno strumento necessario per aprirlo e ogni componente è etichettata con codici QR che riportano ai manuali di riparazione. Ci sono anche quattro slot dove aggiungere le porte che più ci occorrono. Se, per esempio, servono quattro porte Usb-C o di altro tipo, basta ordinarle dal marketplace dedicato di Framework e installarle in modo molto facile. Tutto è sostituibile e nulla è saldato, dalla scheda madre – componente solitamente intoccabile dai comuni mortali, alla batteria, dalla Ram alla cornice del computer. Serve pur sempre una certa esperienza ma Framework – che offre laptop Windows ma anche Chrome – rappresenta in qualche modo il modello ideale verso il quale le autorità vorrebbero condurre, almeno in parte, i colossi internazionali.