Siamo il Paese che investe meno nell’Istruzione. La crisi morde le famiglie: 1 genitore su 10 dice di non potersi permettere l’acquisto dei libri scolastici. Tutti i timori delle famiglie nella ricerca di Save the Children
Riaprono le scuole, anche se a macchia di leopardo. Non senza problemi e incognite. Si fa un gran parlare dei banchi con le rotelle – persi nelle nebbie -, dell’obbligo di mascherina e dell’assenza di professori per coprire le nuove classi “Covid”, quelle cioè smembrate per evitare gli assembramenti e rispettare le norme sul distanziamento, ma sotto la cenere di questi problemi cova il fuoco dei temi mai risolti.
Siamo infatti il Paese che investe meno in Europa sul futuro dei nostri figli. L’Italia spende per l’istruzione e università circa il 4% del PIL (ultimo dato disponibile, 2018) rispetto al 4,6% della media EU. “La sola riforma del 2008” – denunciano da Save the Children – “ha ridotto gli investimenti in istruzione di ben 8 miliardi di euro in 3 anni, operando tagli lineari, ovvero in percentuale sulla voce di costo, con poca attenzione al loro possibile impatto. La spesa per l’istruzione è così crollata dal 4,6% del 2008 al 4,1% del 2011, fino al minimo storico del 2016 e 2017 del 3,9%. Dal 2011 al 2016 l’Italia ha speso generalmente di più in interessi sul debito che sull’istruzione”. Riaprono le scuole ma i problemi sono tanti e vanno ben al di là della presenza di gel disinfettante e di banchi a rotelle: c’è un certo stress tra i genitori, che la ricerca realizzata da Ipsos per Save the Children ha provato a fare emergere. Si scopre così che i dubbi legati al Coronavirus si sommano alle problematiche di sempre, mai risolte.
Le questioni economiche
I dati che sorprendono maggiormente sono quelli di natura economica, perché come nel mondo della scuola i nuovi problemi si sono sommati ai vecchi, così nella società la crisi economica post pandemica si è innestata su una situazione già cagionevole. L’indagine rivela che 1 genitore su 10 sostiene di non potersi permettere l’acquisto di tutti i libri scolastici, mentre 2 genitori su 10 fra coloro che ne hanno usufruito negli anni passati per i propri figli di 4-12 anni, pensano di non poter sostenere le spese il prossimo anno. I primi effetti di questa situazione si fanno sentire sulle scelte dei ragazzi sul proprio corso di studi: l’8% dei genitori intervistati dichiara che il proprio figlio pensava di iscriversi al liceo ma, a causa delle difficoltà economiche che sta attraversando la famiglia, ha scelto una scuola professionale.
Riaprono le scuole, ma non per tutti
Già lo scorso anno Save the Children denunciava – senza ottenere grandi riscontri da chi governa – l’avanzare della povertà educativa in Italia (solo 3 ragazzi su 5 delle famiglie più povere si aspettano di completare l’istruzione terziaria, mentre, tra quelle socio-economicamente avvantaggiate il rapporto sale a 7 su 8) sotto forma di disparità territoriali e di genere. Nel nostro Paese 1 studente su 4 non raggiunge le competenze minime in scienze: il doppio al Sud rispetto ai coetanei del Nord. Un ragazzo su quattro in Italia prevede di lavorare come ingegnere o professionista scientifico all’età di 30 anni, mentre si aspetta di farlo solo una ragazza su otto.
Riaprono le scuole, ma quanti timori
E poi c’è la nuova scuola così come è stata ridisegnata dalle norme anti contagio. Una delle principali preoccupazioni delle famiglie arriva dal rischio di incompatibilità fra orari scolastici dei bambini che frequentano elementari e medie e quelli di lavoro dei genitori. Le soluzioni previste dai genitori differiscono a seconda della fascia di età dei figli, ma ancora una volta emerge il ruolo fondamentale di madri (23%) e nonni (28%) nel supporto alla gestione della routine familiare nel caso di bambini più piccoli: un paradosso se si pensa che principalmente per proteggere i più anziani dal rischio di contagio, i bambini e gli adolescenti sono stati costretti a mesi di didattica a distanza e di lockdown. La rinuncia al lavoro o la riduzione dell’orario lavorativo sembra essere una delle opzioni delle famiglie, in particolare quelle con figli più piccoli, che però – confermando ancora una volta il gender gap del nostro paese – ricadrebbe principalmente sulle madri (23%) più che sui padri (4%).