Dalla proposta della FCC per abolire la “net neutrality”, allo scontro frontale tra Google e il Cremlino. La rete è un bene prezioso che molti vorrebbero rendere più controllabile. Anche a costo di censurarne i liberi contenuti
Il web è sotto attacco. Sia ad ovest che ad est. Alla mercé di chi, per interessi economici o politici, vorrebbe imporre un bavaglio digitale a milioni di contenuti oggi di libero accesso. Almeno questo è quello che ci raccontano gli ultimi avvenimenti.
Dalle dichiarazione della FCC (Commissione federale delle comunicazioni) negli Stati Uniti e del suo presidente, Ajit Pai, che si è dichiarato pronto a smantellare le norme a garanzia dell’accesso paritario a Internet. Deriva ultima di una società del denaro in cui l’accessibilità delle informazioni è direttamente proporzionale a quanto l’utente è disposto a pagare.
Fino al conflitto che ha messo Google contro il governo russo. Con il motore di ricerca di Mountain View che minaccia di censusare la visibilità di testate come Sputnik e Russia Today, colpevoli secondo l’intelligence americana di aver favorito disinformazione e propaganda durante le ultime elezioni presidenziali. E diversi organi statali della Federazione Russa che hanno annunciato dure ripercussioni in caso di iniziative simili.
C’era una volta la “net neutrality”…
L’accesso paritario al web (la cosiddetta “net neutrality”) è uno dei più importanti lasciti dell’amministrazione Obama. Un pacchetto di regole, approvate nel 2015 quando a controllare la FCC erano i democratici, che proibiscono ai fornitori di servizi Internet ad alta velocità (detti ISP) di interrompere o rallentare il caricamento dei siti. Ma vietano anche alle società di addebitare ai propri clienti tariffe aggiuntive per lo streaming ad alta qualità e altri servizi.
Allora, l’obiettivo di tale iniziativa era quello di far riconoscere il ruolo di Internet come principale porta d’accesso alla comunicazione, all’informazione e alle opportunità economiche nella società moderna. Ma poi l’inquilino alla Casa Bianca è cambiato e, con esso, anche chi sta a capo delle varie agenzie governative.
La Comcast Corporation è oggi il più grande operatore via cavo degli Stati Uniti e una delle principali industrie mediatiche del mondo. Nel gennaio …
© Cindy Ord
La proposta, fatta dal presidente Ajit Pai, rappresenta un’abrogazione radicale delle regole messe in atto finora. Ma potrebbe anche scatenare una guerra per il controllo del web tra società di telecomunicazioni (AT&T, Comcast e Verizon) e giganti della rete (Google e Amazon). Perché, se le prime vedono nel cambiamento l’opportunità di offrire ai propri clienti una gamma più ampia di servizi, le secondo considerano la proposta come un enorme passo indietro che aiuterebbe a ripristinare il potere dei vecchi “guardiani del web”.
Come cambierebbe il web per l’utente comune?
Se Aijt Pai riuscisse ad aver successo nel suo intento riformista, Internet diventerebbe probabilmente una tecnologia pay-to-play. Servizi diversi, contenuti diversi, ma anche diverse fasce di prezzo. Insomma, una rete pensata sull’utente e, soprattutto, sulla sua disponibilità economica.
Le società web come Google, Facebook, Amazon e Netflix, sostengono gli analisti, sarebbero in grado di pagare l’affitto per la fascia più alta. Ciò non andrebbe ad influenzare la loro attività, anche se potrebbe incidere sui loro profitti. Prezzi più alti potrebbero però essere proibitivi per le startup e nuove imprese nel mondo dei media e dell’intrattenimento.
“Pensiamo agli youtubers e ai nuovi arrivati che hanno trovato il successo sul web”, ha suggerito W. Kamau Bell, comico e conduttore della CNN, in un articolo sul New York Times. “Caricano un video e diventano virali. Ma senza net neutrality questo non sarà più possibile”. Un timore condiviso anche da quei cittadini che, nei giorni scorsi, hanno scritto alla FCC per opporsi a una tale decisione.
Google vs. Cremlino
Altra parte del globo, eppure anche qui la libertà del web viene messa in discussione. Le dichiarazioni rilasciate da Eric Schmidt potrebbero, infatti, aver causato un effetto a catena impossibile da frenare.
Parlando al Forum sulla sicurezza internazionale di Halifax, il Presidente esecutivo di Alphabet, la holding cui fa capo Google, ha confermato che il motore di ricerca potrebbe presto iniziare a penalizzare le voci sul web relative a quelle testate che sfruttano internet per fare propaganda e disinformazione. Nel mirino ci sono organi d’informazione vicini al Cremlino come Russia Today e Sputnik. Gli stessi che, secondo un rapporto dell’intelligence americana, avrebbero agito per condizionare l’opinione pubblica attraverso fake news e contenuti virali.
Eric Schmidt, Presidente esecutivo di Alphabet
© Fayez Nureldine
Ovviamente, la Roskomnadzor, autorità russa di regolamentazione per le comunicazioni, non ha accolto con favore la notizia. E anzi ha fatto sapere, attraverso le parole del suo capo Alexander Zharov, di voler ricorrere a misure di ritorsione – la più temibile sarebbe l’oscuramento del motore di ricerca statunitense sul suol della Federazione Russa – nel caso in cui il de-ranking trovasse applicazione. Google non sarebbe, comunque, la prima società tecnologica a ricorrere a misure del genere. Il mese scorso, Twitter ha fatto sapere che a RT e Sputnik non sarebbero stati più venduti spazi pubblicitari sulla piattaforma.
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I guardiani che diventano padroni
È giusto privatizzare i contenuti sulla rete oggi liberamente accessibili? E lo è anche creare un web di serie A, uno di serie B e così via per monetizzare quanto più possibile la connessione ad alta velocità? È lecito penalizzare un sito internet per i contenuti che propone privando però così gi utenti della libertà di scelta? E lo è anche oscurare il motore di ricerca più usato al mondo in risposta?
Sono domande a cui dobbiamo provare a dare una risposta. Ben sapendo che nessuna di esse potrà mai fermare i meccanismi che si sono messi in moto. Meccanismi che, presto o tardi, porteranno i guardiani del web a diventarne i padroni. Con noi a fare da pubblico davanti allo schermo di un pc. Un pubblico a cui vendere prodotti, contenuti, o anche solo una connessione più veloce.