Qual è il terzo produttore di diamanti del mondo? Tutti sono passati di fronte alle vetrine di un gioielliere, molti si fermano a guardarle affascinati, ma sono in pochi a conoscere la risposta. Per chi non fosse pratico della materia, si tratta del Canada. Il paese nordamericano segue Botswana e Russia nella speciale classifica riservata al lusso.
Un piazzamento recente, recentissimo, conquistato a partire dagli anni Novanta. La spiegazione è semplice: i diamanti canadesi sono abbondanti, certo, ma anche “conflict free”. Provengono, cioè, da una zona del mondo stabile, dove i lavoratori godono di diritti elementari e i proventi della vendita dei minerali non finiscono nelle tasche di sanguinari signori della guerra.
Diamanti insanguinati: un aiuto viene dalla tecnologia
La necessità di trovare un’alternativa ai blood diamonds, i “diamanti insanguinati”, emerse per gli uffici marketing dei produttori sul finire del millennio scorso, quando i consumatori cominciarono a diventare più attenti alla provenienza delle pietre.
Nel giro di un trentennio, e una crisi economica dopo, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Sono cambiati i gusti, ma si è evoluta – a ritmo frenetico – anche la tecnologia.
“Tracciabilità” è diventato uno dei termini più in voga. Ci piace conoscere il percorso del nostro pacco quando facciamo acquisti online, e persino seguire il rider che ci consegna la pizza a casa portandola dal nostro locale preferito grazie a una delle numerose app foodtech; naturale che, prima o poi, toccasse alle gemme.
Ha cominciato DeBeers a gennaio 2018 con il progetto pilota Tracr, sviluppato in collaborazione con l’incubatore BCG Digital Ventures. Tramite la piattaforma è possibile seguire il percorso di un diamante dalla miniera fino al banco del gioielliere, passando, ovviamente, per grossisti, tagliatori e tutte le figure chiave della catena del valore. Ogni pietra ottiene un certificato che ne attesta la storia e comprende informazioni-chiave come il tipo di taglio, il nome di chi lo ha eseguito e persino i passaggi di proprietà.
Il marchio inglese è stato seguito a ruota da Tiffany, che mercoledì scorso ha inaugurato il proprio progetto di tracciabilità delle gemme tramite blockchain. Nel 2017 la società newyorchese ha venduto l’equivalente di 500 milioni di dollari in anelli con diamanti, ma sta cercando nuove strade per avvicinarsi a un pubblico più giovane e sempre più attento all’etica.
La blockchain per i beni di lusso: “Il furto? Sarà obsoleto”
Se i grandi marchi si sono messi al lavoro, il filone sembra attraente anche per piccole startup. Come la francese Arianee, che promette di rivoluzionare il concetto di proprietà mettendo in piedi un registro globale dei beni di lusso. Rubereste la Gioconda? Chiaramente no, perché è invendibile. Troppo conosciuta. Questo è, pressapoco, il concetto su cui si basa il lavoro della società transalpina.
Ogni oggetto di valore – spiegano i responsabili – potrà essere registrato e tracciato su un archivio immediatamente disponibile online per tutti gli aventi diritto, limitando le contraffazioni e “rendendo i furti una cosa obsoleta”: riconoscere un oggetto rubato sarà questione di pochi attimi. Troppo bello per essere vero? Sicuramente ambizioso. Ma il mondo sta cambiando. E in fondo, prima dell’ i-Phone, nessuno pensava che avremmo potuto avere un navigatore sul cellulare.