La Regione chiede di aprire prima. A rischio, si lamenta, comparti che valgono 64 miliardi di export, dall’automotive alla nautica
Si moltiplicano le richieste da parte degli enti locali e dei rappresentanti del mondo industriale di accelerare con la Fase 2, benché l’ultima riunione tra il dicastero del Lavoro e i sindacati lasci intendere che le maggiori sigle sindacali non siano affatto del medesimo avviso. Sulla necessità di riprendere con la produzione per tamponare l’emergenza economica, grava il rischio di ripiombare nel pieno della pandemia. Oggi però nuove pressioni arrivano dall’Emilia Romagna, tra le Regioni più colpite dal Coronavirus ma finora più vicina (rispetto soprattutto a Lombardia e Veneto) alla linea governativa.
Fase 2, cosa chiede l’Emilia Romagna
Da quanto si apprende, la Regione Emilia-Romagna ha inviato al governo il documento condiviso con il Patto per il lavoro per proporre la “sperimentazione di aperture anticipate di alcune filiere internazionali e dei cantieri delle opere pubbliche“, oltre all’istituzione di Tavoli provinciali per la diffusione dei protocolli per la sicurezza dei luoghi di lavoro.
I settori che dovrebbero ripartire subito
Tra le filiere di valenza internazionale indicate dalla Regione, l‘automotive e l’automazione, in grado di garantire l’applicazione di protocolli avanzati e innovativi di sicurezza grazie all’impegno delle parti sociali e delle imprese; la nautica e l’offshore, che hanno già definito standard avanzati di sicurezza; la ceramica e la moda; l’impiantistica alimentare, parte integrante della filiera agroalimentare nazionale ed internazionale, e la meccanica agricola. Infine, la filiera dell’edilizia e delle costruzioni, con particolare riferimento ai cantieri delle opere pubbliche, oltre alle attività ancora in corso nelle aree del sisma.
© Palazzo Chigi
Nel documento si elencano anche le filiere dove poter studiare nuovi protocolli di sicurezza. Si parte dalla manifattura – centrale nell’economia regionale, con un peso sul valore aggiunto prodotto del 28% e un valore dell’export di 64 miliardi di euro – alle costruzioni (oltre 65.000 imprese con prevalenza della piccola dimensione), dal complesso universo del turismo, commercio e pubblici esercizi, al comparto dei servizi alla persona (con imprese che vanno dalla micro-dimensione alle grandi cooperative di servizi).
Industriali veneti: o riapriamo o moriamo
Ieri invece erano stati gli industriali veneti a chiedere di anticipare la Fase 2 con un documento molto duro, indirizzato al Governo. ““Non solo è messa a dura prova la sopravvivenza stessa di intere filiere produttive – si legge nell’appello lanciato da Maria Cristina Piovesana, Lorraine Berton e Vincenzo Marinese, presidenti di Assindustria Venetocentro Padova-Treviso, Confindustria Belluno-Dolomiti e Confindustria Venezia-Rovigo -, ma anche la tenuta di quattordici distretti strategici per l’economia del Veneto e del Paese, che nel 2018 hanno esportato prodotti per un valore complessivo di 14 miliardi di euro”.
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Quindi l’affondo: “Se l’obiettivo indicato dal premier Conte alle Camere è fare il possibile per preservare l’integrità del nostro tessuto produttivo, la strada è agire subito, senza tentennamenti, superando gli anacronismi dei codici Ateco, per difendere lavoratori, imprese, famiglie. E assumersi la responsabilità di una scelta che è politica, senza lo scudo dei comitati di esperti dietro cui nascondersi per rinviare decisioni”.