Skuola.net ha svolto un’indagine su studenti di medie e superiori. Quasi uno su tre conosce un amico che lo ha fatto. Dietro il folle gesto ci sarebbe l’obiettivo di creare video virali
Di fronte a Blue whale eravamo rimasti sorpresi, attoniti, quasi increduli. Per mesi ne avevamo parlato tutti. Poi il silenzio. Ora dopo la morte di un 14enne alla periferia di Milano, trovato senza vita con una corda da roccia legata attorno al collo, siamo di nuovo smarriti davanti all’ennesimo nome in inglese che appare sui quotidiani: Blackout Game – o “gioco dello svenimento” – la nuova (ma fino a un certo punto) assurda ‘sfida’ che rischia di mettere in pericolo la vita di migliaia di adolescenti.
Una novità per noi “grandi”, per chi vive lontano dalle camere degli adolescenti, ma loro, i ragazzi, sembrano ben conoscere questo maledetta attività che non si può certo chiamare gioco. Lo ha scoperto Skuola.net che ha interpellato circa mille studenti di scuole medie e superiori, proprio sull’argomento.
Blackout game: una prima ricerca sul fenomeno
Più di uno su dieci, infatti, è a conoscenza di Blackout Game e delle sue regole: il 28% lo ha scoperto attraverso letture sul web; il 23% tramite video postati sui social; al 20% gliene hanno parlato gli amici. Sin qui niente di allarmante. Se non fosse che, tra i ragazzi “informati”, quasi uno su cinque – il 18% – ci avrebbe anche provato personalmente. E circa uno su tre di questa fetta del campione – il 30% – ha un amico che ha sperimentato il brivido della morte apparente. “Sono dati che, portati su larga scala, danno la dimensione del fenomeno e invitano – spiegano quelli di Skuola.net – sicuramente a mantenere alta l’attenzione.
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La cosa più preoccupante, però, sono i motivi che spingono a farlo”. La logica del branco c’entra fino a un certo punto, visto che sette su dieci – il 68% di quelli che hanno fatto “blackout” – hanno agito da soli, senza spettatori; solo il 32% ha voluto il pubblico attorno. La smania da visibilità, semmai, arriva dopo: lo scopo dichiarato di oltre la metà dei “ragazzi”’ – 56% – era la voglia di fare un video da mettere online, sperando diventasse virale. Per l’8% è stato solo un modo per divertirsi in modo differente; un altro 8% lo ha fatto per non andare a scuola per qualche giorno; il 4% solamente per provare la sensazione di incoscienza promessa.
Ma il “blackout” non è il solo “gioco” pericoloso ad attrarre i più giovani: il 6% degli intervistati ha provato anche “challenge” diverse, con le stesse caratteristiche di rischiosità e – nel migliore dei casi – di mettere alla prova la propria resistenza fisica. Di fronte a questi dati non resta ancora una volta che fare un passo in più verso la conoscenza dei social, approfondendo, documentandosi, facendo ricerca. Serve proprio questo: arrivare prima dei ragazzi affinché possiamo non stupirci e metterli in guardia.
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Spesso, invece, sono proprio gli adulti a non sapere, a non riuscire a parlare di questi fenomeni ai loro figli o peggio ancora ai loro alunni. L’età dell’uso del cellulare si è drasticamente abbassata e sono sempre più le mamme e i papà che si arrendono di fronte a questa richiesta che non può essere elusa ma va presa seriamente in considerazione senza dare risposte superficiali, un “sì” o un “no” senza spiegazioni.