Nelle ore decisive per il voto USA, alcune riflessioni con l’esperto di geopolitica
Mentre lo spoglio è ancora in corso e il candidato dem, Joe Biden, è dato a un passo dalla vittoria che potrebbe chiudere l’esperienza di Donald Trump alla Casa Bianca, la situazione interna agli Stati Uniti è tutt’altro che definita. Il 45esimo presidente ha già promesso ricorsi alla Corte Suprema perché, stando alla sua versione, sarebbero in corso brogli in stati chiave come Wisconsin e Michigan. Dall’altra parte, l’ex vice di Obama è pronto a pronunciare il suo primo discorso da presidente investito. «Vent’anni fa la Corte Suprema si espresse il 12 dicembre sul voto in Florida – ci ha spiegato Dario Fabbri, firma della rivista di geopolitica Limes ed esperto di Stati Uniti – se Trump vuole davvero tentare la via legale lo farà per il voto di ben tre Stati. Potremmo rimanere in stallo fino a Natale».
Fonte: Wikipedia
Trump: tempo scaduto?
Nelle ore decisive per il raggiungimento dei 270 delegati che consegnerebbero a uno o all’altro candidato le chiavi della Casa Bianca, StartupItalia ha ragionato con Dario Fabbri della situazione eccezionale (o no?) che gli USA stanno vivendo. «Nonostante sia acclarato il fatto che le elezioni negli USA siano un esercizio di efficienza, è successo altre volte nella storia che il voto registrasse questi strascichi – ha detto – mi riferisco allo scontro nel 2000 tra Al Gore e G.W Bush. Biden ha semplicemente evitato di fare l’errore di Gore, che disse subito di aver perso. Anche all’epoca le accuse di brogli furono molte». Ragionando di geopolitica e di scenari a lungo periodo, Fabbri ha motivato a StartupItalia l’idea secondo cui o con Trump o con Biden il destino degli Stati Uniti d’America resti comunque segnato.
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Con un mio commento al primo tempo delle presidenziali americane https://t.co/bh1a4D6KJO
— Dario Fabbri (@dlfabbri) November 4, 2020
Fonte: profilo Twitter Joe Biden
America: le sfide dei prossimi presidenti
«Non sono le elezioni che cambiano la traiettoria di un paese. L’America dei prossimi anni sarà caratterizzata dal malessere – ha commentato Fabbri – e questa stanchezza deriva dalla condizione egemonica che Washington ricopre da decenni. Si è spesso parlato di isolazionismo degli USA, ma non è così. Il paese sta affinando la propria postura imperiale: gli imperi si comportano come fa l’America di oggi, non come quella che invadeva l’Afghanistan. Gli imperi combattono il meno possibile».
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Con un paese diviso al suo interno tra le due coste e l’America profonda, tra ricchezza e grandi corporate da una parte e povertà e problemi razziali irrisolti dall’altra, cosa dovrà affrontare il nuovo presidente? «Sono tre le questioni da gestire: quella del ceppo bianco germanico, che vive nel Midwest lungo la Rust Belt impoverita dalla crisi; ci si dovrà occupare della assimilazione degli ispanici; infine, occorre capire il destino delle due coste degli USA. Sono le parte più capaci del paese, ma si stanno tramutando in una costola dell’Europa. Non cercano l’egemonia».