Malattie legate al sangue, addio agli studi in vivo per valutare la tumorigenicità delle cellule staminali ematopoietiche umane modificate tramite gene editing. Presto saranno sostituiti da un modello in vitro, un bioreattore miniaturizzato.
Malattie legate al sangue, addio agli studi in vivo per valutare la tumorigenicità delle cellule staminali ematopoietiche umane modificate tramite gene editing. Presto saranno sostituiti da un modello in vitro, un bioreattore miniaturizzato, che permetterà di valutare con maggiore precisione e in tempi più rapidi la sicurezza delle cellule. Questa è la sfida di MOAB Srl, società Biotech con sede a Milano, grazie a un progetto sviluppato da Manuela Teresa Raimondi, Professoressa ordinaria di Bioingegneria al Politecnico di Milano.
Nasce MOAB, il bioreattore miniaturizzato
L’emofilia e l’anemia falciforme sono alcune delle malattie del sangue che possono essere curate attraverso le cellule staminali ematopoietiche umane – che si trovano nel midollo osseo e che formano i globuli rossi – modificate tramite gene editing. In sostanza, si corregge il gene che causa la patologia inserendo una specifica sequenza di DNA prodotta in laboratorio. In questo modo le cellule sono riprogrammate con la sequenza corretta. Gli studi in vivo per testare la sicurezza delle terapie geniche in modo da essere certi che non si introducano informazioni genetiche che potrebbero causare effetti gravi come il cancro sono un requisito normativo ma i processi sono lunghi e richiedono l’utilizzo di molti animali. Il progetto sviluppato dalla professoressa Maria Teresa Raimondi per MOAB Srl – sponsorizzata da Bayer, Novartis e Takeda – ha l’obiettivo di sviluppare un modello in vitro per sostituire gli studi di tumorigenicità in vivo, in modo da garantire maggiore precisione, ridurre i tempi e le sperimentazioni animali. Il progetto è reso possibile grazie alla vincita del bando Crack-it, emanato dall’organizzazione britannica indipendente NC3Rs – National Centre for the Replacement, Refinement and Reduction of Animals in Research – che ha l’obiettivo di ridurre l’uso delle cavie animali nel campo biotecnologico e biomedico. Spiega la professoressa Raimondi: “Abbiamo letto un bando pubblicata su Internet dall’ente finanziatore inglese, NC3Rs, che descriveva il problema da affrontare: trovare un modo per quantificare il rischio che cellule staminali ematopoietiche andassero incontro a trasformazione tumorale in seguito a gene editing”. La Professoressa Raimondi aveva già da anni attivato varie collaborazioni con gruppi di ricerca che utilizzano la piattaforma MOAB e si è deciso di partecipare al bando come consorzio di ricerca proponendo una soluzione tecnologica al problema. Nasce così il bioreattore miniaturizzato MOAB.
Un modello cellulare a favore degli animali
Il modello cellulare per testare la nuova terapia di cellule staminali ematopoietiche ha un forte impatto in termini di sicurezza ma anche di costi e di riduzione della sperimentazione animale. Spiega la professoressa Raimondi: “Il modello che stiamo sviluppando è un modello multiorgano su chip, cioè un modello di midollo osseo collegato con un modello di linfonodo. In termini di sicurezza, un evento di trasformazione tumorale sarebbe sicuramente visualizzabile nel MOAB, grazie alla sua accessibilità ottica in fluorescenza, garantendo adeguate condizioni di sicurezza in vista di una terapia. A regime, il costo della piattaforma sarebbe confrontabile con il costo di modelli cellulari in vitro del tipo organo su chip, cioè un costo almeno un ordine di grandezza inferiore a qualsiasi modello sperimentale animale. Noi riteniamo che in caso di successo del progetto, il MOAB potrebbe sostituire totalmente la sperimentazione animale che in questo settore ha mostrato grossi limiti, poiché le cellule staminali ematopoietiche umane non si integrano nel midollo animale”.
Come funziona MOAB
La professoressa Raimondi spiega il funzionamento del bioreattore che testa la sicurezza delle cellule: “Il MOAB è formato da tre camerette di coltura della dimensione di pochi millimetri ciascuna, montate su una base trasparente delle dimensioni di un vetrino da istologia. In una camera viene coltivato un costrutto con cellule di midollo osseo, nella seconda camera viene coltivato un costrutto con cellule di linfonodo, e nella terza camera si visualizzano eventuali cellule che hanno subito una trasformazione tumorale. Un circuito idraulico collega le tre camere in serie, facendo fluire attraverso gli organi le cellule ematopoietiche editate, poste in sospensione nel terreno di coltura. Le cellule si integrano nel midollo se sono sane, mentre si distaccano dal midollo e infiltrano il linfonodo in caso di trasformazione tumorale”.
Una chance in più per il settore delle Biotech
Il progetto, una volta ultimato, avrebbe un forte impatto anche per quanto riguarda le case farmaceutiche e il mercato, come spiega Alessandro Rotilio, amministratore delegato di MOAB: “L’attuale problema dell’industria farmaceutica in merito alle terapie basate su CRISPR (il metodo di editing genetico più promettente) è il rischio di cromotripsi, una forma estremamente dannosa di riarrangiamento genomico. Poter verificare le modifiche genetiche con la semplicità consentita da MOAB apre una concreta chance sullo sviluppo industriale e delle terapie geniche, facendo uscire dal laboratorio una delle migliori innovazioni in ambito Biotech degli anni recenti. Il settore delle Biotech è in grande sviluppo, gli investimenti stanno crescendo a due cifre percentuali e noi stessi nell’ultimo anno abbiamo ricevuto diverse visite da parte di investitori. Il fatto di stare lavorando su un progetto di questa portata in diretta collaborazione con Bayer, Novartis e Takeda è motivo di grande orgoglio per noi, ma soprattutto è una rotta da seguire, perché è evidente che il mercato si sta muovendo verso la medicina personalizzata, di cui il gene editing è una gamba. L’altra gamba è l’immuno oncologia, nostro prossimo ambito di applicazione”. La sicurezza è la parola d’ordine. Conclude Rotilio: “MOAB ha la particolarità di essere sostanzialmente un’azienda di device con un impatto diretto sulla capacità di portare in clinica le nuove terapie. La nostra missione è abbreviare il percorso che porta alla clinica, ma soprattutto renderlo sicuro ed efficace”.