Le persone con il gene Lztfl1 beneficerebbero particolarmente della vaccinazione, che rimane il miglior metodo di protezione
Un unico gene, capace però di raddoppiare il rischio di insufficienza respiratoria da Covid-19 in alcuni pazienti infetti. È quello scovato dagli scienziati di Oxford. O meglio, dall’IA dei loro computer. Perché per accelerare i risultati della ricerca, James Davies, co-autore della ricerca e professore associato di genomica a Oxford che ha lavorato in terapia intensiva durante la pandemia e il suo team si sono avvalsi l’intelligenza artificiale e di una tecnologia molecolare all’avanguardia.
In parole povere, i ricercatori britannici hanno addestrato un algoritmo ad analizzare grandi quantità di dati genetici da centinaia di tipi di cellule in tutto il corpo, e poi hanno usato una nuova tecnica che ha permesso loro di affinare il Dna dietro questo specifico segnale genetico. A parità di condizioni, «se hai il genotipo a rischio più elevato e ti senti molto male con il Covid, c’è un 50% di possibilità che non ti sarebbe successo se avessi avuto il genotipo a rischio più basso”, ha spiegato Davies. «Questo – ha aggiunto il ricercatore – dimostra che il modo in cui il polmone risponde all’infezione è fondamentale. È importante perché la maggior parte dei trattamenti si sono concentrati sul cambiare il modo in cui il sistema immunitario reagisce al virus».
La scoperta di questo gene del Covid potrebbe spiegare perché alcuni gruppi etnici sono più suscettibili al rischio di sviluppare una malattia grave rispetto ad altri. Finora le sole spiegazioni formulate al riguardo riguardavano l’assenza di dati certi nei Paesi in cui sembrano verificarsi meno casi e la presenza di una popolazione più giovane. Nonostante un impatto significativo del virus alle persone con ascendenza afro-caraibica, solo il 2% porta il genotipo a più alto rischio. Secondo i ricercatori, una versione a più alto rischio del gene impedisce molto probabilmente alle cellule – che rivestono le vie aeree e i polmoni – di rispondere correttamente al virus.
Sempre secondo lo studio, circa il 60% delle persone sud-asiatiche hanno questa versione del gene, rispetto al 15% di quelle con patrimonio europeo. I risultati aiutano a spiegare perché più alti tassi di ospedalizzazione e morte possono essere stati visti in alcune comunità e nel subcontinente indiano.
Gli autori hanno comunque sottolineato che il gene non può essere utilizzato come unica spiegazione della pericolosità del Coronavirus in quanto molti altri fattori, anche sociali, come le condizioni economiche, giocano un ruolo fondamentale nella partita tra la vita e la morte dell’individuo infetto. Le persone con il gene, noto come Lztfl1, beneficerebbero particolarmente della vaccinazione, che rimane il miglior metodo di protezione. I risultati aprono alla possibilità di ricercare trattamenti specifici per i pazienti con questo gene, anche se nessun farmaco su misura è attualmente disponibile.