Studi in matematica, ha un dottorato di ricerca in calcolo delle probabilità. Ha scritto numerosi saggi, come il suo ultimo edito da Einaudi, dove parla di innovazione, scienza e limiti
«Vedo culti. Li ascolto. Usiamo per le macchine un linguaggio che fino a un certo punto abbiamo usato per fenomeni religiosi o magici». Chiara Valerio è una matematica, autrice di diversi saggi come quello da poco pubblicato da Einaudi, “Tecnologia è religione”, nel quale affronta alcuni dei temi più interessanti della nostra epoca. Partendo dal quotidiano, il proprio, dialogando con il lettore tra ricordi e riflessioni sul futuro. In un momento in cui ChatGPT domina il dibattito sulla tecnologia qual è il modo migliore per discuterne, senza scadere in banali estremismi? In una giornata, come quella della Pasqua, vissuta in maniera profonda da cristiani e cristiane, Valerio ci invita a riflettere sul ruolo dei limiti, i nostri. «Tecnologia è religione se ci dimentichiamo che la limitatezza è l’unica possibilità di conoscenza, senza sgomento, che abbiamo».
Tecnologia è religione, recita il titolo del suo libro. Forse è per questo che viviamo nell’illusione dell’assenza di limiti?
Viviamo nella fantasia che i limiti del corpo siano limiti da superare. Sono invece la struttura che ci tiene. Come la rete da tennis. Che gioco sarebbe il tennis senza la rete? Cosa saremmo noi senza i limiti del corpo? E come è possibile pensare l’illimitatezza? Rifletto adesso che le prime vertigini della mia vita le ho provate davanti al concetto di infinito matematico. Insiemi numerabili. Insiemi non numerabili. Numeri transfiniti. Termini che suonano come qualcosa che sapevo e che forse, sforzandomi, so ancora ma che d’abbrivo, la prima volta mi avevano dato le vertigini. La scala del diavolo di Cantor. Non i piani alti, non gli orridi. Ma il concetto di infinito. Ecco, in base a quella vertigine sconvolgente io ho imparato ad amare la limitatezza. L’orizzonte stesso, se ci pensa, è un limite. Tecnologia è religione se ci dimentichiamo che la limitatezza è l’unica possibilità di conoscenza, senza sgomento, che abbiamo.
Viviamo in un’epoca secolarizzata. Oggi lei vede chiese della tecnologia?
Vedo culti. Li ascolto. Usiamo per le macchine un linguaggio che fino a un certo punto abbiamo usato per fenomeni religiosi o magici. Ci sono persone che credono o no nei vaccini, credono o no nel 5G, credono o no che la terra sia piatta. Non le sembra che sia il verbo credere, il modo in cui parliamo, a dare la misura del nostro rapportarci alla tecnologia, e pure alla scienza, come a un fenomeno religioso?
Potremmo parlare di fanatismi, senz’altro. Anche in ambito di intelligenza artificiale: è il nuovo oracolo o un cataclisma? Oppure c’è una terza via?
AI come possibilità di sollevare l’uomo da ciò che è possibile automatizzare di modo che tutti possiamo contribuire al mondo con ciò che possiamo fare e cioè pensare. Pensare è il nostro modo di essere una risorsa naturale del quale, mi pare, c’è ancora larga disponibilità. O comunque, mi sforzo di pensarlo. In Introduzione alla Cibertnetica. L’uso umano degli esseri umani Wiener scrive che “è assai più facile infatti organizzare una fabbrica o una galera che impieghi gli esseri umani per una insignificante frazione delle loro attitudini che costruire una società in cui essi possano elevarsi in tutta la loro statura. Coloro che soffrono di un complesso di potenza sanno che la meccanizzazione dell’uomo è il mezzo più semplice per realizzare le loro ambizioni. Sono convinto che questa facile via al potere comporta non soltanto l’annullamento di quelli che io credo siano i valori morali dell’umanità, ma anche l’eliminazione delle attuali, labilissime possibilità di sopravvivenza della razza umana per un periodo considerevole”.
Restiamo sull’AI. ChatGPT è la nuova buzzword. Anche in questo caso: troviamo tech fanatici e catastrofisti
Perché è una novità, e perché è un gioco. Perché in una rete dove i social hanno formati e lunghezze, ChatGPT può essere logorroico, lo è. Norbert Wiener ha strutturato la cibernetica sul principio di feedback, di retroazione. Nonostante fosse un pacifista, l’idea di retroazione gli era venuta studiando balistica. Tiro automatico. Il sistema proposto da Wiener fondava su un radar che forniva al computer informazioni sulla rotta dell’aereo da abbattere. Dopo ogni colpo andato a vuoto, il radar segnalava al sistema l’errore di tiro, il sistema correggeva la gittata e il cannone risparava. Così finché non colpiva il bersaglio. Un’esattezza punitiva di potenza medievale. L’idea era riportare in ingresso le informazioni in uscita così da modificare l’azione tenendo conto dell’errore sul risultato raggiunto. Ecco, per ChatGPT la retroazione siamo noi, correggiamo ciò che dice e lui impara. Credo, mi pare, penso, suppongo, non so che questa sia una cosa interessante. Siamo diventati il feedback della macchina.
Nel suo libro scrive di corpo come dispositivo. Musk punta a impiantare chip nel cervello delle persone con Neuralink. Altri limiti che saltano?
Siamo sempre stati cyborg, da quando abbiamo cominciato a studiare il corpo umano, a sezionarlo per capire la sua meccanica. Ne La tecnologia è religione siamo cyborg da subito perché come ha scritto Donna Haraway negli anni Novanta cyborg è tutto ciò che separa il confine tra carbonio/silicio e cioè tra umano e animale e poi animale/umano e macchina.
Tecnologia : comunità = comunità : religione. Ci può spiegare questa proporzione che ha inserito nel libro?
Mi piaceva l’idea della sezione aurea. a:b=b:c. dove a, b, c sono parti di uno stesso segmento. Il segmento totale sta al segmento più lungo come quest’ultimo sta al segmento più corto. Per secoli, la comparsa di questo numero irrazionale in ambiti vari e disparati ha fatto pensare alla possibilità che indicasse la connessione tra infinitesimo e infinito, tra uomo e Dio. Il tutto e la parte che si rincorrono. Ecco, in questa posizione volevo mettere la comunità e il suo senso.
Scrive infine del suo rapporto da bambina con il catechismo. Le chiedo qual è, dal suo punto di vista di scienziata, il ruolo della fede in tempi così veloci?
Le rispondo come pare abbia risposto Elsa Morante alla domanda “Lei crede in Dio”? La risposta è “Io credo a tutto”. Nel senso che credendo che qualcosa sia vero o falso mi metto a studiare per capire se lo è o no. E alla fine, più che altro, accetto il mondo nella sua incomprensibilità parziale, o nella mia approssimazione riguardo la possibilità di comprendere.