A volte la tentazione di darla vinta a chi dice che la privacy è morta è davvero forte, persino per chi è chiamato a proteggerla a ogni costo. È, ad esempio, la sensazione che si prova leggendo un nuovo studio, pubblicato sulla rivista di ricerca Genome Biology and Evolution, da un team di ricercatori dell’Università di Lund in Svezia. Riguarda una soluzione di intelligenza artificiale chiamata “Microbiome Geographic Population Structure” (mGPS) capace di tracciare i luoghi – come città, spiagge e persino singole fermate della metro – che una persona ha visitato di recente esaminando i batteri che porta con sé.
Sulle nostre tracce… batteriche
Il sistema di IA analizza i microbi come se fossero impronte digitali geografiche, e si basa sul fatto che il microbioma umano, ovvero l’insieme di microrganismi che vivono nel nostro corpo, cambia costantemente a seconda dell’ambiente con cui entra in contatto. Ad esempio, toccare un corrimano in una stazione ferroviaria o alla fermata dell’autobus trasferisce batteri unici di quel luogo sul nostro corpo.
L’AI che legge i batteri
Basta dunque esaminare un campione del microbioma di una persona e confrontarlo con la mappa dei batteri presenti nei diversi luoghi di una città per ricostruire con precisione i suoi spostamenti. Lo strumento mGPS è stato creato addestrando l’Intelligenza artificiale su vasti set di dati tra cui 4.135 campioni provenienti dai sistemi di trasporto pubblico di 53 città, 237 campioni di suolo provenienti da 18 Paesi e 131 campioni provenienti da 9 ecosistemi marini.
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Utilizzando questi dati, l’Intelligenza artificiale ha imparato a distinguere tra i profili microbici, collegandoli alle loro origini geografiche uniche. E la precisione del GPS “batterico” è impressionante. L’AI è stata in grado di individuare con successo la città di origine per il 92% dei campioni urbani.
E non solo. Ad esempio, a Hong Kong, il team ha individuato con una precisione dell’82% la stazione della metropolitana da cui provenivano i campioni. A New York, mGPS è, persino, in grado di distinguere tra il microbioma di un chiosco e quello di un corrimano a un solo metro di distanza. A Londra, la precisione è stata inferiore, attestandosi al 50%, probabilmente a causa delle condizioni più vecchie della metropolitana londinese.
Il potenziale di questo strumento basato sull’intelligenza artificiale si estende a vari campi. «Tracciando dove sono stati i microrganismi di recente, possiamo comprendere la diffusione della malattia, identificare potenziali fonti di infezione e localizzare l’emergere della resistenza microbica. Questo tracciamento fornisce anche elementi che possono essere utilizzati nelle indagini criminali», afferma Eran Elhaik, ricercatore di biologia presso l’Università di Lund, che ha guidato il nuovo studio.
E, naturalmente, più si raccolgono campioni microbici geolocalizzati, più la precisione del modello di intelligenza artificiale migliora, aprendo le porte a un numero ancora maggiore di applicazioni in contesti reali. Sono scenari straordinari e capaci di schiudere le porte a un futuro nel quale potremmo essere in grado di sconfiggere malattie e garantire condizioni di vita migliori all’intera società. Ma è innegabile, al tempo stesso, che questo genere di applicazioni tecnologiche minacci la stessa sopravvivenza della privacy. Che fare, dunque?
Innanzitutto, ovviamente, resistere a quella famosa tentazione di cantare il de profundis del diritto alla privacy e, quindi, non perdere occasione di ricordare che non dobbiamo per forza scegliere tra privacy e innovazione, anzi, meglio, non dobbiamo affatto scegliere: possiamo e dobbiamo avere l’una e l’altra.
Il segreto per riuscirci è progettare questo genere di soluzioni pensando sin dall’inizio all’esigenza che rispettino la privacy delle persone e, quindi, assumendo tale esigenza come un vincolo di progettazione. Guai a dire che è sempre facile ma si può fare.
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