Nuova puntata della rubrica di Franz Russo sui social media. Proviamo a capire perché le piattaforme sono di fronte a un cambiamento che rischia di spingere gli utenti verso conversazioni e condivisioni sempre più private
Dopo esserci chiesti, più volte, se i blog fossero morti, se Twitter fosse morto, adesso arriva il momento di fare una riflessione più profonda, su un altro tema. Posto che i blog non sono affatto morti, anzi, e che Twitter purtroppo, come lo abbiamo sempre usato e conosciuto, è davvero morto, è arrivato il momento di chiedersi: ma i social media sono morti? Si tratta di una domanda che vuole essere una provocazione, fino ad un certo punto, ma vuole essere anche un momento per fare una riflessione in un momento in cui si percepisce, sempre di più, che i social media sono cambiati al punto che, forse, ci si comincia a chiedere se, davvero, sono morti. Partendo da un articolo apparso su Insider nei giorni scorsi, che pone la stessa domanda, anche solo provando a mettere insieme quanto scritto finora in questa rubrica si avverte un cambiamento sempre più marcato. E, di certo, questo cambiamento viene percepito, ed interpretato, meglio dagli utenti più giovani, quelli davvero nativi digitali, a cui conviene guardare per capire in che direzione si sta andando.
Non è un mistero se diciamo che tutti, ma proprio tutti, abbiamo sempre più la sensazione che la piattaforma social media che stiamo usando di più non è quella che avevamo iniziato ad apprezzare, ormai molti anni fa. Quell’idea di cercare nuovi amici, di rintracciare vecchie conoscenze e di ricollegarsi con i propri familiari oggi è praticamente passata. Nel corso del tempo queste piattaforme sono cambiate tutte, nessuna esclusa, mettendo a punto un algoritmo che decidesse, sulla base degli interessi, cosa gli utenti dovessero vedere per cercare di tenerli coinvolti più possibile sulla piattaforma. Del resto, il modello di business è sempre stato questo. Queste piattaforme hanno costruito la propria esistenza sulla pubblicità, permettendo agli utenti di condividere i propri dati in maniera gratuiti. In pratica, la pubblicità si attivava perché il prodotto siamo sempre stati noi, gli utenti. Ed è rimasto ancora così, anche se questo modello sta cominciando a scricchiolare e, da qui, l’idea che gli utenti cominciano a postare i propri contenuti, i propri dati, i propri interessi sempre di meno. Quello che anche qui abbiamo definito come processo di tiktokizzazione delle piattaforme social media ha finito per rendere pressoché identiche tutte le piattaforme, che hanno cominciato a cambiare i propri algoritmi in modo da offrire agli utenti contenuti correlati che vedevano protagonisti spesso creator digitali e influencer. Una modalità che ha messo in difficoltà gli utenti che prima usavano queste piattaforme con leggerezza, con il solo scopo di condividere contenuti senza neanche tanta cura. La corsa alla perfezione, quasi maniacale, dei contenuti ha finito per allontanare sempre di più gli utenti.
Dove stanno andando gli utenti?
Ormai, di fronte al dilagare di contenuti sempre più confezionati e sempre più commerciali, gli utenti preferiscono “rifugiarsi” in luoghi sempre più ristretti, dove poter conversare senza la pressione della perfezione e l’ansia del pubblico da raggiungere. E non è un fenomeno legato all’età degli utenti, perché sono soprattutto gli utenti più giovani ad allontanarsi da queste modalità sempre più spinte verso la perfezione, preferendo conversare attraverso messaggi privati. Adam Mosseri, capo di Instagram, in una recente intervista ha dichiarato: “Se guardi a come gli adolescenti trascorrono il loro tempo su Instagram, [vedrai che] trascorrono più tempo nei DM che nelle storie, e trascorrono più tempo nelle storie che nel feed principale”. A conferma che non sono più tante le persone che pubblicano qualcosa e preferiscono utilizzare la piattaforma per inviare messaggi diretti e conversare in chat di gruppo. Gli utenti sono sempre più bersagliati da contenuti mostrati dagli algoritmi, realizzati da creator che usano queste piattaforme per promuoversi. Tutto in nome del coinvolgimento. In buona sostanza, se ci fermiamo un attimo a riflettere, queste piattaforme sono sempre più media e meno social. Questo è il punto, questo è quello che sta accadendo. La fase di cambiamento, che ormai queste piattaforme vivono in maniera più profonda da circa due/tre anni, rischia di rivelarci delle piattaforme social media che sono lontane da quello che erano in origine. Prendiamo proprio il caso di Instagram. L’app, creata da Kevin Systrom e da Mike Krieger, nata come una semplice piattaforma di condivisione di foto, che aveva solo “like” e commenti, nemmeno messaggi, ed è ora la piattaforma centrale per qualsiasi azienda che vuole promuoversi. La piattaforma adesso dà molta più rilevanza ai video Reel, al live streaming, allo shopping. Questa non vuole essere una considerazione “nostalgica”, no. Vuole invece essere un momento per fotografare una situazione in atto. Tenendo sempre in considerazione che queste piattaforme hanno bisogno di contenuti che alimentano maggiore coinvolgimento per attirare investimenti pubblicitari. Ma, il progressivo scollamento degli utenti, la crescente attenzione verso influencer e creator, rischia di mettere in condizione l’utente di privilegiare conversazioni sempre più private. E questo può mettere in crisi il modello di business che ha fin qui permesso a queste piattaforme social media di andare avanti. Sicuramente nessuno vorrebbe avere un feed senza contenuti da guardare, come accadeva un tempo quando non tutti pubblicavano contenuti 100 volte al giorno Ma certamente, il modello attuale rischia di essere solo a trazione di pochi, mentre tutti gli altri si riversano altrove. Da come si stanno mettendo le cose, neanche Threads riuscirà a cambiare questo andamento. Presentata come la piattaforma di testo che avrebbe dovuto riscattare il dissolvimento di Twitter, oggi X, per mano di Elon Musk e diventare l’unica alternativa valida, in poco tempo ha visto crollare il coinvolgimento dell’80%, arrivando a poco più di 10 milioni di utenti attivi. Di fatto è già un tentativo mancato. Una sorte simile sta per capitare anche a X che continua a promuovere la piattaforma per i creator, pagandoli anche per le visualizzazioni generate (minimo 5 milioni di visualizzazioni per trimestre), dimenticandosi completamente che non tutti gli utenti sono creator, non tutti hanno la velleità di essere creator digitali. Dimenticando anche che gli utenti di Twitter per la grand parte erano, e sono ancora, “lurker”, cioè guardano, leggono ma non partecipano attivamente. Ecco perché ormai, al di là di ciò che si può pensare, molti guardano a Mastodon, a Bluesky e altre piattaforme simili. E nemmeno BeReal è riuscito nel suo intento. Presentatasi come l’app dell’autenticità, nel giro di poco tempo anche questa app si è scontrata con la realtà, ossia quella per cui gli utenti amano essere autentici ma sempre con pochi. Proprio Instagram e X, per restare su questi due esempi fin qui citati, continuano a spingere sulla formula “contenuti riservati agli abbonati”, con il rischio che tutto questo connettersi, come era in origine, si trasformi in un costante invito a consumare contenuti.
Ecco, per superare tutta questa situazione, governata dagli algoritmi, diventa necessario ridare vita alle piccole comunità, alle conversazioni tra gruppi più ristretti. Gli utenti più giovani stanno già facendo questo. Le piattaforme social media sono nate come luoghi accoglienti, che davano all’utente un obiettivo (quello di rintracciare e connettersi con qualcuno), luoghi dove il senso di appartenenza incoraggiava la partecipazione degli altri e generava anche comportamenti mai sopra le righe. Continuare ad offrire un modello a pagamento, commerciale e generico, costruito solo sul pagamento di una quota mensile, rischia di dare vita a luoghi con scarsa personalità, dove ognuno cercherà di vendere qualcosa, spesso anche senza qualità. L’idea alternativa sarebbe sempre quella di dare vita a piattaforme social media, senza investitori, limitando la condivisione dei contenuti solo ai propri follower, con cui mantenere e generare conversazioni. La timeline sarebbe certamente pulita e da lì si potrebbe dare vita ad altre formule. La base potrebbe essere quella. Chissà.