È uno dei volti più noti dell’ecosistema italiano dell’innovazione nel mondo. Ha vissuto in America e in Asia. Oggi è a Londra. Per la rubrica “Italiani dell’altro mondo” intervista alla guida della fintech Otter. «Fare startup? Un insieme di grandi errori a cui devi continuamente porre rimedio»
«Mio papà me lo diceva: fare l’imprenditore significa affrontare tanti giorni di pioggia e pochissimi di sole. Ha cercato di scoraggiarmi, ma in realtà è da quando sono bambina che sono esposta a questo mondo». Nata a Milano nel 1983, Benedetta Arese Lucini ha collezionato parecchi incarichi nel corso della sua carriera. Uno dei più noti è stato quello di general manager di Uber in Italia. «Sono stata tra le prime dipendenti al mondo di Uber. Forse non tutti se lo ricordano, ma Milano era la 15esima città in cui la società ha iniziato a offrire i suoi servizi». Un periodo tosto per lei che all’epoca non aveva ancora 30 anni e doveva quotidianamente confrontarsi con l’opposizione dei tassisti. «Ho due grandissimi network di alumni: Rocket Internet e Uber». Come protagonista di questa nuova puntata di Italiani dell’altro mondo, rubrica in cui raccontiamo i nostri talenti all’estero, Benedetta Arese Lucini ha guidato business in giro per il mondo, lavorato per quella che sarebbe diventata una delle principali Big Tech in ambito mobilità, e fondato più di una startup. «Tutti raccontano il sogno della startup, ma è un insieme di grandi errori a cui devi porre di continuo rimedio».
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Una scuola di imprenditoria
Benedetta Arese Lucini oggi vive a Londra, dove ha fondato e dirige Otter, una fintech che si occupa di democratizzare il mondo della finanzia. Ritorniamo però all’infanzia, fase della vita di una persona in cui molto viene seminato nella curiosità. «Ho avuto la fortuna di avere un papà imprenditore. Aveva creato una società di software. Negli anni ’90 la sua azienda si è quotata in Borsa e poi ha iniziato a lavorare nel venture capital». La scena è la seguente: immaginatevi un salotto in cui un papà accoglie altri imprenditori, mentre la figlia gironzola e assorbe. «Ricordo il crash del 2000, con lo scoppio della bolla delle dot.com. Tantissime persone venivano a raccontarci storie pazzesche. Una in particolare mi ha colpito: c’era questo imprenditore, originario dell’est Europa ancora sotto la Russia, che era riuscito ad acquistarsi un biglietto per scappare vendendo DVD masterizzati di film americani vietati».
Appassionata di matematica e numeri, Benedetta Arese Lucini ha frequentato le superiori in una scuola internazionale, dove ha fatto dell’inglese la sua seconda lingua in anni in cui quella competenza era vista al più come un orpello da inserire nel curriculum. «Dopo le scuole, non so perché, ma volevo fare marketing. Così mio papà mi ha fatto fare un internship nella sua azienda. Ho capito alla svelta che non faceva per me». Senza scadere nella lettura di un’imprenditrice predestinata per il semplice fatto di avere il babbo imprenditore, fin dall’adolescenza ha sempre avuto un occhio di riguardo per i soldi. «Siccome ero brava vendevo i miei appunti». Dopo gli studi in Bocconi ha seguito il percorso nelle banche di investimento, via che l’ha condotta a San Francisco, dove è arrivata una prima svolta.
«Ho sempre avuto la passione per la tecnologia come facilitatore. Quando vivevo in California ero in contatto con un sacco di imprenditori e per caso ho incontrato Oliver Samwer, Ceo di Rocket Internet. Mi ha fatto un colloquio e mi ha proposto di andare a lavorare in Malesia, nell’ambito ecommerce». Fondata nel 2007 in Germania, Rocket Internet è una società che ha tratti peculiari: si è affermata a livello globale perché si concentra sulla riproduzione di modelli di business di successo di altre società (soprattutto americane) e sulla loro implementazione in mercati come Europa, Asia e America Latina. «Secondo me hanno portato il tech in Europa. Rocket Internet è molto criticata, perché sostengono che copi altre aziende. Quello che trovo entusiasmante è che loro prendono persone dal mondo tradizionale e le mettono a capo di nuovi business. È una scuola di imprenditoria e sei pure pagato: ti insegnano a essere un leader senza per forza essere un nerd. Il focus è uno soltanto: l’execution».
Lavorare con Travis Kalanick
E poi è arrivata quella che Mike Isaac ha definito nel suo libro l’azienda protagonista della storia più pazza della Silicon Valley: Uber. «Quella è stata la mia catapulta: avevo 29 anni e sono diventata regional manager, dovendo gestire il mercato in Italia e una parte dell’Europa. Ai tempi era davvero Davide contro Golia, e c’era una cultura che ho sempre cercato di portare nelle mie società. In Uber funzionava come se fosse un piccolo conglomerato di startup: ogni general manager parla a nome dell’azienda. In Italia sono stata rincorsa per anni, criticata, esattamente come se fossi io la fondatrice». E che dire del vero Founder, Travis Kalanick, dimessosi da Ceo nel 2017 mentre l’azienda era al centro di accuse di sessismo e comportamenti scorretti nei confronti dei driver? «Ha ricevuto un sacco di critiche sulla stampa. Quando ho iniziato in Uber c’era un grande equilibrio tra i dirigenti uomini e dipendenti donne. Mi è sempre piaciuta la visione di Travis. Sono uscita da Uber prima delle sue dimissioni, ma non sarei mai rimasta senza di lui».
Nel 2016 Benedetta Arese Lucini è tornata alla sua passione, la finanza. A Londra ha fondato Oval Money, startup che è stata poi acquisita al termine di un periodo complesso. «La finanza per tante persone è difficile e siccome è il mio mestiere non volevo fosse così. La mia idea era dunque quella di trovare un modo per democratizzare il settore. Purtroppo poco prima dello scoppio della pandemia stavamo facendo fund raising. Il giorno del lockdown in Italia, ricordo che avevamo ancora pochi mesi di cassa. Abbiamo preso una decisione complicata, come si deve fare quando una startup non funziona». L’azienda ha cessato le attività poco tempo dopo. Con Otter, la sua nuova venture, si occupa sempre di finanza, garantendo a tutti prodotti finanziari tradizionalmente solo disponibili al settore private banking. In chiusura di intervista abbiamo chiesto a Benedetta Arese Lucini una riflessione sull’ecosistema italiano. «Penso che il problema non stia solo nella eccessiva burocrazia. Non ci sono abbastanza persone con la mentalità da imprenditore. Perché Londra funziona? Perché ci sono state abbastanza startup di successo con figure che ne hanno fatto una professione e anche un buonissimo reddito. In Italia fare startup viene visto ancora come se fosse un gioco».