Torinese, laureata in architettura, Daniela Tenna ha lavorato per tanti anni nel settore della comunicazione e della grafica, prima di gestire un b&b. Tra le tante esperienze che ha saputo cogliere nel corso della vita c’è stata anche quella di catechista, poi è arrivata la pandemia, che l’ha costretta a ripensarsi. In quei mesi angoscianti, grazie al supporto e alla collaborazione dei suoi figli, Daniela ha avuto un’idea: vendere sex toys online, ma non solo. Tra i suoi obiettivi c’è, soprattutto, quello di educare alla sessualità: un argomento di cui si sente parlare molto poco ma che è, invece, molto importante. Così Daniela va in giro per l’Italia, con la sua valigetta piena di accessori erotici, a spiegare non solo come si usano, ma che cosa spinge ad approcciarsi al mondo dei sex toys e come trovare il giusto equilibrio all’interno di una coppia che decide di utilizzarli. In questa nuova puntata di sex startup abbiamo avuto modo di poter scambiare qualche parola con lei e farci raccontare che cosa la ha spinta verso questo universo fatto ancora di tanti tabù e pregiudizi ma che è capace di regalare tante sorprese da più punti di vista.
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Dal catechismo a Yorokobi
Dopo aver lavorato per 25 anni nella progettazione editoriale, e in un certo periodo anche come catechista, nel 2016 Daniela ha aperto un b&b, fino al 2019. Con la pandemia, durante la chiusura tra le mura domestiche, è arrivata l’idea, e da quel momento per la neo-imprenditrice è cambiato tutto. «Un giorno, con i miei figli di 24 e 29 anni, e il mio compagno mi sono chiesta: “E adesso che faccio?” – spiega – E durante il brainstorming è saltata fuori la parola “sex toys“: un settore a me completamente sconosciuto ma che mi ha incuriosito». Così è nato il progetto di Yorokobi, poi diventato startup, che in giapponese significa “piacere”, “felicità”, “condivisione del bello”. «Durante il lockdown mi sono messa a studiare marketing digitale e a informarmi su come avviare un’attività del genere – spiega la CEO – Mi sono buttata e oggi devo dire che sono molto soddisfatta, anche se c’è ancora tanto da fare per buttare giù tanti ostacoli e limiti che spesso le persone si autoimpongono». E proprio con questo intento, Daniela, parallelamente all’avvio della sua startup, ha iniziato a organizzare una serie di incontri dove si parla di sessualità, conoscenza del proprio corpo, relazioni.
Perchè parlare di sesso fa bene
Se per molti ancora oggi parlare di sesso è quasi un tabù, per Daniela non lo è affatto, anzi, se ne dovrebbe parlare ancora di più. «L’unica volta in cui sono entrata in un sexy shop è stata in viaggio a Singapore. Adesso organizzo serate ed eventi pubblici in cui mi preme molto portare all’attenzione dei partecipanti argomenti o concetti che sono ancora imbrigliati in stereotipi o modi di pensare legati al “come e al perché usare toys quando si ha già una relazione” – spiega Daniela – In realtà, il sex toys non va concepito come uno strumento che va “in sostituzione di” ma, al contrario, serve a stimolare la crescita di un rapporto se entrambi i partner manifestano interesse per questi accessori. Purtroppo, i retaggi culturali, o la mancanza di coraggio di chiedere al partner se sia disposto a fare la conoscenza di questo tipo di accessori bloccano a monte certe scelte». Limiti, quindi, che spesso si autoimpongono. «Giocare con questo tipo di toys serve anche alla comunicazione con il partner, alla creazione di complicità, come elemento rafforzativo della coppia che permette di smontare delle tensioni che si portano nel quotidiano – specifica Daniela – Sono oggetti che aiutano a conoscersi, procurano benessere e permettono di andare alla scoperta di nuove sensazioni. Non tutti parliamo di sessualità in maniera sfrontata: molte persone hanno più di pudore e ne vogliono parlare in modo delicato. Per questo nei miei incontri cerco di arrivarci in modo attento e delicato senza creare imbarazzo».
Una startup intergenerazionale
Come è riuscita Daniela, con la sua Yorokobi, a creare una rete che unisce un lato più imprenditoriale a uno spirito più divulgativo? «Devo molto ai miei figli – spiega la CEO – che hanno da subito appoggiato questa idea. Loro sono molto più aperti rispetto alle generazioni precedenti e mi hanno aiutata a capire tanti aspetti che io non riuscivo a cogliere. Ho 58 anni, ho fatto la catechista e provengo da una formazione cattolica, ma sono sempre stata curiosa di ampliare i miei orizzonti. Così mi sono messa a studiare: si può anche cominciare qualcosa senza saperne niente, ma la possibilità di poter lavorare in questa sfera intergenerazionale è un grande arricchimento. Parlare di sessualità vuol dire parlare di tutta la nostra vita». Dapprima Daniela ha coinvolto i figli, ma poco dopo anche le fidanzate si sono mostrate interessate e si sono dedicate alla startup. «Nella comunicazione della nostra attività c’è una particolare attenzione all’inclusività, al linguaggio, al pensare che le cose possano essere diverse: ora non abbiamo la scusa di non sapere». E così, quella che è iniziata come un’esperienza di dropshipping è diventata realtà, con sede a Pino Torinese.
Il futuro di Yorokobi
«Ho la mia catena di fornitori e spedisco in tutta Italia – racconta Daniela – Se avessi dovuto pensare solo al profitto, avrei preso strade diverse. Nel mio settore è molto complicata la comunicazione, soprattutto sui social dove si viene bannati anche se non si sono utilizzati termini volgari». Il team di Yorokobi, per il momento, è quasi tutto al familiare, ma se i volumi delle vendite aumenteranno susseguirà anche un ampliamento della squadra. «Mi piacerebbe che a Torino ci fosse un luogo dove parlare apertamente di sessualità e toys in compagnia – conclude Daniela – Io credo molto in questo progetto e nonostante la strada sia impervia, non mi arrendo. I sacrifici non mi hanno mai spaventata e tutto questo per me non è mai stato un gioco».