Una breve guida di StartupItalia alle varie fasi di investimento e round che coinvolgono le startup nel loro ciclo di vita, tra anglicismi ed espressioni leggendarie
Di recente, su StartupItalia si parlava di una corposa iniezione di risorse, due miliardi di euro, che un emendamento al decreto infrastrutture, approvato lunedì 25 ottobre dalle commissioni Ambiente e Trasporti della Camera, destinerà al venture capital. La cifra stanziata dovrà essere assegnata entro fine anno al Ministero dello Sviluppo Economico, che a sua volta potrà usufruire dei finanziamenti per sottoscrivere quote o azioni di fondi destinati, appunto, al venture capital. La nuova somma, proveniente dal Patrimonio rilancio di 40 miliardi gestito da Cassa depositi e prestiti, va ad aggiungersi agli 1,3 miliardi che a oggi costituiscono il Fondo Nazionale Innovazione creato da Cdp Venture Capital. Il tutto, in un anno, il 2021, che potrebbe segnare il nuovo record di investimenti e round per le startup italiane.
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Mentre l’Italia si organizza per recuperare terreno nei confronti dei vicini Paesi europei sul fronte degli investimenti in neo-imprenditoria e innovazione, si è deciso qui di ripercorrere il viaggio attraverso le modalità di finanziamento con cui una startup può sostenersi nel corso del suo ciclo di vita.
Fase di pre-seed e un aneddoto leggendario
Nel momento in cui nasce un’idea innovativa e soprattutto se ne validano le potenzialità e opportunità sul mercato, un futuro founder dovrà avere accesso alle prime risorse per supportare il proprio progetto. Questi fondi possono arrivare in primo luogo dai cosiddetti FFF, ossia family, fools and friends, da strumenti di finanza agevolata o business angels – investitori che scelgono di avviare un’impresa e diventarne soci.
In questa prima fase di pre-seed, lo startupper dovrà poter contare anche sui propri risparmi e su quelli di amici e familiari. È quello che in gergo viene chiamato bootstrapping, un termine anglosassone dal significato metaforico e ormai entrato nel vocabolario delle startup. In Inghilterra, esiste infatti il modo di dire pull yourself up by your bootstraps, letteralmente “tirati su da solo, prendendoti per le stringhe dei tuoi stivali”. Se il senso del detto è chiaro – datti dare, facendo affidamento sulle tue capacità -, più discussa è l’origine del proverbio.
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Secondo un’ipotesi diffusa ma non dimostrata e parzialmente smentita, per capire come la linguetta di cuoio per infilarsi gli stivali possa essere finita per indicare la capacità di farcela da solo occorre tornare alla fine del XVIII secolo. E, più precisamente, in Germania. Nel libro Le Avventure del Barone di Münchausen, lo scrittore tedesco Rudolf Erich Raspe raccoglie gli improbabili racconti dell’eccentrico signorotto, suo connazionale. In una di queste storie, il capitano Münchausen riesce a tirarsi fuori, insieme al suo cavallo, da una palude in cui stava sprofondando, letteralmente tirandosi per il proprio codino. Niente scarpe, quindi, ma capelli. In realtà, l’utilizzo del modo di dire è attestato già nel 1834 negli Stati Uniti e, con tutta probabilità, altro non è che una variante a qualche racconto tradizionale.
Seed e i primi finanziamenti ufficiali
Dopo aver superato la prima fase informale e aver avuto a che fare con cavalieri tedeschi, si approda al finanziamento feed. Partecipano agli investimenti sia i soggetti coinvolti nel pre-seed, sia angel investor e incubatori. È comune anche organizzare delle raccolte fondi. Si tratta comunque di somme contenute e necessarie a preparare e perfezionare il prodotto, individuando il mercato di riferimento. Gli imprenditori si preparano dunque alla fase di crescita della propria azienda e, nel periodo di early stage, puntano a dare visibilità al prototipo del proprio prodotto.
Il prodotto sul mercato, round di Serie A e B
Lo startupper e i suoi collaboratori delineano alcuni elementi fondamentali per far decollare l’impresa: un modello di business sostenibile a medio e lungo termine, strategie commerciale e di marketing, requisiti per internazionalizzare il mercato di riferimento. In altre parole, il track record della società. In un contesto simile i round di investimento di Serie A e Serie B sono necessari per allargare la base clienti.
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Salgono le cifre dei finanziamenti e scende il rischio per gli investitori. Quello del round di Serie B è un crocevia fondamentale per il futuro di una startup: si scommette sulla possibilità di replicare il successo dell’impresa su larga scala. Se questa condizione si verifica, la società passa alla fase della scaleup.
La fase di sustained growth con round di Serie C e D
Cresce l’impresa, aumenta la stabilità. La startup ha ormai raggiunto un numero di clienti notevole e, di conseguenza, il fatturato sale. Date queste premesse, il round di Serie C, che la società ottiene nella fase di crescita sostenuta, rappresenta un finanziamento con rischio e rendimento minori. L’azienda ha ancora ampi margini di espansione, tuttavia mira anche ad ampliare specifici comparti interni, come la ricerca e sviluppo. Oltre agli attori già conosciuti, come venture capitalist e angel investor, ai round di Serie C si aggiungono anche istituzioni finanziarie, dalle banche di investimento agli hedge fund, fino ai gruppi di mercato secondario.
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A questo punto, la startup sta arrivando al termine del suo percorso, e si vicina all’offerta pubblica iniziale (Ipo). Tuttavia, può accadere che le imprese continuino a raccogliere finanziamenti di Serie D, E o addirittura oltre. In ogni caso, lo scopo primario dei fondatori è quello di accrescere la propria valutazione in vista dell’Ipo o di altre tipologie di uscita dalla proprietà della startup.
Dopo l’ultimo round: quale exit strategy?
Il cerchio si chiude con la decisione relativa alla strategia che gli startupper prendono per uscire dalla proprietà dell’azienda che hanno creato. Oltre a essere una parte importante del business plan, scegliere l’opzione migliore per vendere l’impresa – o al contrario, riacquistarne le quote cedute – permette di massimizzare i guadagni.
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Se invece il founder decide di vendere alcune o la maggior parte delle sue personali azioni a un terzo, si verifica il caso della secondary sale. Infine, c’è l’eventualità che la startup non abbia un fatturato sostenibile: se non raggiunge l’autosufficienza, l’azienda andrà verso la chiusura.