Secondo una ricerca condotta da Social Innovation Monitor, le startup innovative a vocazione sociale (SIAVS) nel 2022 in Italia erano 178. 427 erano le società benefit e 197 le certificate B Corp. Ma che differenza c’è tra queste? In quali settori lavorano? E che cosa manca affinché questo tipo di innovazione possa impattare sempre di più sulla società? Per capirlo lanciamo un nuovo approfondimento settimanale, dopo le tappe del real estate che ci hanno tenuto impegnati per diverse settimane. Lo facciamo, come di consueto, con una prima puntata dedicata allo scenario e all’analisi di settore. A farci da cicerone in questo appuntamento è Paolo Landoni, professore di Entrepreneurship per il corso di laurea in Management Engineering del Politecnico di Torino, insegnante di imprenditorialità e innovazione in diverse business school e codirettore dell’International Master in Industrial Management.
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Differenze tra una startup a impatto sociale e altre società
Le startup a impatto sociale sono imprese che, attraverso la propria attività imprenditoriale, introducono un’innovazione sociale. «Tra le startup a impatto sociale e altre organizzazioni che si impegnano su temi sociali e ambientali c’è una differenza sostanziale: le startup sono società for profit e, quindi, non sono parte del terzo settore, non fanno parte del mondo non-profit», spiega il professor Landoni. La loro caratteristica fondante è che ambiscono a generare un significativo impatto sociale o ambientale in aggiunta al proprio ritorno economico. Come accennato in apertura, esistono diverse tipologie di startup a impatto e alcune di queste seguono specifiche normative. Ad esempio, per le startup innovative a vocazione sociale (SIAVS) , il decreto-Legge 179/2012 ha stabilito gli ambiti di attività.
Come vengono inquadrate le SIAVS nella normativa?
Secondo il decreto-legge 179/2012, le startup innovative “a vocazione sociale” possiedono gli stessi requisiti posti in capo alle altre startup innovative, ma operano in alcuni settori specifici considerati di particolare valore sociale. In particolare, in quelli della:
– assistenza sociale;
– assistenza sanitaria;
– educazione, istruzione e formazione;
– tutela dell’ambiente e dell’ecosistema;
– valorizzazione del patrimonio culturale;
– turismo sociale;
– formazione universitaria e post-universitaria;
– ricerca ed erogazione di servizi culturali;
– formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e
al successo scolastico e formativo;
– servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al 70% da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale. Perseguendo in misura significativa, accanto a una logica di business, finalità legate al benessere della collettività, le startup a impatto sociale possono risultare meno “attraenti” sul mercato, determinando un ritorno sugli investimenti inferiore rispetto a quello generato da altre imprese. Per correggere questa asimmetria, l’art. 29 del decreto-legge 179/2012 ha assegnato dei benefici fiscali maggiorati a favore degli operatori che investono in questa particolare tipologia di startup innovativa.
Di quali benefici fiscali godono?
Sempre secondo il decreto-legge, alle persone fisiche e giuridiche che investono in SIAVS sono riconosciute, rispettivamente, detrazioni IRPEF del 25% e deduzioni IRES del 27%, mentre queste aliquote si attestano al 19% e al 20% per gli investimenti nelle altre startup innovative. Ma queste agevolazioni sono sufficienti per far crescere l’impatto reale di queste attività sulla società? «Tra i problemi che sussistono per queste imprese c’è il fatto che sono pochi gli aiuti pubblici e poche startup a impatto sociale hanno raggiunto risultati rilevanti in termini di crescita e visibilità, e quindi emulazione. Inoltre, da un punto di vista normativo c’è una complessità significativa per chi vuole avviare una realtà non orientata solo al profitto. I neoimprenditori sociali devono scegliere tra profit e nonprofit e considerare le varie opzioni tra imprese sociali, società benefit, cooperative, ecc.. – commenta il prof. Landoni, facendo anche un confronto con l’evoluzione di questo ecosistema – Negli ultimi 10 anni è cambiata molto la maturità e l’attenzione rispetto al tema “startup”. Un decennio fa, le persone non sapevano neanche che cosa fosse un incubatore, ora c’è più consapevolezza e nascono molte più realtà di anno in anno. Alcune stanno iniziando ad affrontare i temi della valutazione di impatto, altre hanno già fatto il report di sostenibilità, che è obbligatorio per le società benefit».
Best cases di startup a impatto sociale
In particolare, queste startup vengono valutate da un punto di vista di impatto atteso, come nel caso di imprese di nuova costituzione o comunque non ancora giunte al deposito del primo bilancio e di impatto generato, nel caso di imprese che hanno già depositato il loro primo
bilancio. Tra le prime startup a impatto sociale che sono nate nel mercato italiano e che operano in modo trasversale generando attività ibride in diversi settori, c’è la romana Pedius e la catanese Orange Fiber, nate rispettivamente nel 2012 e nel 2014. «Pedius sfrutta le tecnologie di sintesi e riconoscimento vocale per per offrire funzionalità telefoniche alle persone sorde – spiega il professore – Mentre la catanese Orange Fiber produce un tessuto sostenibile simile alla seta dagli scarti di agrumi».
Quale futuro per le startup a impatto sociale?
Rispetto al passato oggi le startup a impatto sociale in Italia sono molte di più e più conosciute. Tra queste c’è il caso di successo di Unobravo, ma quali caratteristiche avranno questo tipo di imprese in futuro? «L’ecosistema italiano è cresciuto in generale, ma per quanto riguarda le startup a impatto sociale sono pochi gli attori che le sostengono. Tra questi: Fondazione Giordano Dell’Amore, Oltre Venture Capital, e alcuni business angels, oltre alla mia community Nonprofit Social Innovation Teams (SIT)- conclude il professore – Per migliorare la situazione due cose devono succedere: aumentare gli incentivi per queste attività e, da parte delle startup, far emergere il proprio valore sia in termini di crescita e impatto economico che in termini di impatto sociale e ambientale».