A confronto con Gianluca Cocco e Gaetano de Maio, co-fondatori della startup fintech. La raccolta pre-seed non è frutto di un’improvvisazione. Entrambi hanno esperienze all’estero e hanno scelto di tornare. «Stando agli investitori, l’ecosistema italiano ha i presupposti per esplodere»
«In realtà la raccolta di 34,5 milioni di euro è stata chiusa a fine 2022. Finora siamo rimasti stealth, è una strategia usata da diverse venture europee. Ci si mette a testa bassa, sull’execution. La visibilità è bella, ma è defocalizzante. Abbiamo preferito costruire e assumere prima di dare una notizia così importante per noi e l’ecosistema». Nel raccontare l’operazione che ha visto protagonista la fintech Qomodo – bene ripeterla: 34,5 milioni di euro in fase pre-seed – il Ceo e Co-founder Gianluca Cocco spiega a StartupItalia perché questo non significa bruciare le tappe. «Raccogli tanto, ma non per bruciare altrettanto. Col round abbiamo messo la testa fuori per un giorno, ma ora siamo già tornati al lavoro». Lo abbiamo intervistato insieme a Gaetano de Maio, Co-founder e COO di Qomodo, per cercare di capire se questa è una storia isolata. Oppure se siamo di fronte a un evento rilevante per l’ecosistema proprio perché segna un precedente interessante.
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Imprenditori seriali
Le storie di Gianluca Cocco e di Gaetano de Maio valgono come preziosi punti di partenza per arrivare al round da 34,5 milioni di euro (di cui 30 in linee di credito e il restante in equity). Entrambi classe 1987, Cocco è un ingegnere meccanico laureatosi al Politecnico di Milano, de Maio è uscito dalla Bocconi. Dal punto di vista anagrafico non sono veterani del settore, ma hanno più di un’esperienza (e di un’exit) alle spalle. Cocco si è fatto le ossa nel food delivery, essendo stato amministratore delegato di foodora, poi venduta a Glovo; negli anni della pandemia è stato in Spagna dove ha lavorato in factory14, chiudendo quel capitolo con l’exit con Razor. «Io e Gateano siamo persone che provengono dall’ecosistema di Rocket Internet (una fucina di startup con sede a Berlino e interessi in mezzo mondo, ndr). Ci definiamo operatori del settore, che sanno come si fa impresa e infatti abbiamo cercato di applicare standard internazionali per lanciare Qomodo in Italia».
Se Cocco ha maturato esperienza in vari settori della tecnologia, de Maio riconosce che il suo primo amore è stato il fintech. Dopo gli studi in Bocconi, è infatti andato a lavorare per Rocket Internet. «Ogni tot mesi mi mandavano in una startup del gruppo – ci spiega -. Prima in Malesia, poi in Indonesia, poi in Germania». Nel suo percorso va evidenziata la tappa a Londra, dove ha lavorato pure nel Venture Capital. «In Inghilterra ho conosciuto Revolut e sono stato tra quelli che ha portato i suoi servizi in Italia. Il fintech è un settore in cui c’è talmente tanto da fare…». Qomodo, fondata nel luglio 2022, ha operato finora senza mostrare all’ecosistema troppo sulle proprie attività, strategia utile anche per guadagnare fette di mercato e prendere vantaggio su potenziali competitor.
Quattro trimestri, un round
Il round pre-seed è il frutto di questi percorsi: Gianluca e Gaetano si conoscono da anni e a un certo punto hanno deciso di lanciare una nuova venture (preferiscono chiamarla così, invece che startup). «Ci siamo messi a lavorare al modello di business alla fine primo trimetre 2022, lo abbiamo identificato nel successivo, nel terzo lo abbiamo validato per poi chiudere a novembre l’operazione, peraltro molto velocemente». A guidare il round Fasanara Capital, con altri grandi nomi del settore VC come Exor e Primo Ventures. «Lo reputiamo un deal da standard internazionali. Senza quello non avremmo neanche iniziato». Tutto questo è successo a Milano, la capitale del fintech dove quest’anno il verticale guida per volumi la raccolta in investimenti delle startup in città (quasi 140 milioni di euro finora nel 2023).
Come fintech Qomodo ha scelto di focalizzarsi sulle spese non procrastinabili. Dalla salute in giù. Da una parte ci sono i clienti, che possono usufruire in oltre 500 esercenti della rateizzazione in quattro rate senza interessi; dall’altra ci sono appunto le aziende, che con i servizi Qomodo possono digitalizzare gli acquisti e aprirsi alla clientela. «A differenza di altri player del settore Buy Now Pay Later, noi non siamo al checkout dei siti internet, ma nei punti vendita fisici, nelle catene. Il ticket medio è di 1000 euro: siamo nelle carrozzerie, nelle officine, nei gommisti, nelle cliniche veterinarie e odontoiatriche e presto in palestre e centri di bellezza», spiegano i Co-founder. Per questi esercenti Qomodo si propone come unico partner negli incassi dei pagamenti digitali, offrendo il POS tramite smartphone e altre soluzioni agili che digitalizzano attività con un evidente bisogno di rimanere competitive sul mercato.
Che significa per l’Italia?
Di certo un round non rivoluziona un’ecosistema, ma su StartupItalia molti di quelli che abbiamo raccontato negli ultimi tempi inquadrano una situazione tutt’altro che negativa. In ordine sparso: ShippyPro (15 milioni), WSense (9 milioni), DreamFarm (5 milioni). Il 2023 era partito come l’anno dell’efficienza (copyright a Zuckerberg) e dei licenziamenti, ma potrebbe chiudere con prospettive interessanti lato raccolta. Come ci ha detto Dettori di Primo Ventures, si tratta sempre di cicli che alternano entusiasmo a fasi di maggior cautela. «Ora deve arrivare un boom digitale, perché l’imprenditoria funziona così – spiega Cocco -. Non abbiamo più tempo: siamo grandi come la Francia e quella è la strada da prendere». L’ottimismo è condiviso anche da de Maio, secondo il quale «le cose stanno succedendo adesso: VC internazionali che investono, persone che volevano fare gli imprenditori e finalmente si buttano. Credo davvero che siamo all’inizio di una nuova era tecnologica per l’Italia. Siamo tornati perché ci crediamo. Da anni ho sempre aspettato questo momento».
I Co-founder di Qomodo si sono concessi una breve finestra per commentare il round per poi rimettersi al lavoro e, chissà, mettere le basi per il seed o il Serie A. Con un team per ora di 20 persone, la fintech rimane focalizzata sulla cultura aziendale che i fondatori ci hanno riassunto così. «Siamo una società dove tutto passa dai numeri. Valutiamo tutto numericamente». Per Cocco è sempre stato così anche quando nel 2018 ha aveva deciso di lasciare l’Italia. «Avevo appena venduto e me ne sono andato perché la situazione non mi avrebbe permesso di crescere. Dopo la pandemia, però, ho visto che sono arrivati molti fondi: è cambiata l’attitudine, tanti giovani lanciano venture. Insomma, è cambiato completamente il contesto. E, stando agli investitori, ha i presupposti per esplodere».