La Maker Faire ha mostrato tanti studenti appassionarsi alla digital manufacturing. Per Stefano Micelli ora è tempo che i FabLab entrino nelle scuole
Molti fra coloro che hanno visitato la Maker Faire di Roma qualche settimana fa hanno notato il padiglione dedicato al mondo della scuola. Gli studenti di una ventina di istituti tecnici hanno portato all’Auditorium i loro progetti e le loro invenzioni: c’era il prototipo di un bastone per ciechi, il drone che recapita a domicilio medicine per gli anziani, il robot in grado di risolvere in pochi minuti il cubo di Rubik e molto altro.
Ciò che sorprendeva maggiormente il visitatore era la varietà delle tecnologie con cui ragazzi e professori hanno dimostrato di saper poter lavorare in modo innovativo.
Non era scontato che studenti così giovani dimostrassero tanta voglia di fare e tanta capacità innovativa nel campo del digital manufacturing. In molti guardano a questo campo come a un dominio per specialisti con un lungo curriculum scolastico alle spalle. Il padiglione della Maker Faire dedicato alla “call 4 school” ha dimostrato, invece, che il mondo della scuola è in grado di esprimere capacità di innovare e cultura del progetto.
Come fare per moltiplicare questo entusiasmo e per portare avanti questi percorsi di innovazione? Nel nostro paese la formazione tecnica è stata a lungo considerata una sorta di Cenerentola con poche possibilità di accedere ai finanziamenti che contano. Oggi lo scenario economico e tecnologico è radicalmente mutato. E’ urgente un rapido cambiamento di rotta che consenta ai nostri giovani di diventare protagonisti di una nuova fase di crescita, contribuendo alla competitività del paese nel suo complesso.
Su questo terreno la Fondazione Nord Est ha avviato FabLab@scuola, un progetto per creare una rete di FabLab nelle scuole di Friuli, Veneto e Trentino Alto Adige. Il tutto per consentire a studenti e professori di mettere le mani sulle tecnologie della nuova manifattura digitale. Una decina di istituti tecnici ha già dato la propria disponibilità a ospitare i FabLab e ha già identificato le tecnologie che meglio rispondono alle proprie vocazioni e ambizioni. La creazione di nuovi FabLab all’interno delle scuole apre un ventaglio di nuove opportunità per gli istituti scolastici, in particolare quelli finalizzati alla formazione di tipo tecnico. Grazie ai FabLab è possibile immaginare nuove contaminazioni con il mondo del lavoro, magari lanciando una serie di hackathon per risolvere problemi posti da imprese innovative.
E’ possibile immaginare un confronto serrato fra la scuola e mondo dei mestieri tradizionali, per reinventare lavori consolidati alla luce di strumenti e tecnologie innovative.
E’ auspicabile, poi, che i ragazzi trovino attraverso i FabLab la voglia di immaginarsi imprenditori, magari confrontandosi con i propri coetanei che frequentano altre scuole e che stanno sviluppando competenze complementari. La presenza di Fab Lab nelle scuole consente di immaginare, poi, nuove dinamiche a livello sociale. Grazie ai Fab Lab è possibile immaginare nuovi modi di imparare e di sperimentare, dove chi insegna non è più necessariamente il professore. I Fab Lab consentono poi una maggiore permeabilità dell’istituzione: possiamo immaginare la curiosità di pensionati che si rimettono in gioco, per imparare e per proporre ai più giovani quanto hanno imparato nella loro vita professionale, oppure di persone in cerca di nuovi stimoli, attratte da una mescola di discipline e di saperi molto più varia (e divertente) rispetto a quella a cui siamo stati abituati nei curricula scolastici tradizionali. Questa varietà di esperienze può contribuire a rimettere la scuola al centro della vita delle città, sottraendole a quella “specializzazione funzionale” che spesso ne ha decretato l’invisibilità.
A sostegno della creazione della rete dei Fab Lab si sono mobilitate in questi mesi banche (Unicredit) e imprese high tech (in particolare DWS e Roland). E’ chiaro che il contributo di queste imprese deve necessariamente essere affiancato da altre risorse. Per questo la Fondazione Nord Est ha deciso di avviare un’iniziativa di crowdfunding a livello territoriale che superi la logica della semplice raccolta fondi, puntando a ricostruire un dialogo più aperto e più fattivo fra mondo della scuola e società civile. Il crowdfunding rappresenta in questo senso un’opportunità per raccontare in modo innovativo i tanti progetti che i professori promuovono con i loro studenti.
Chi può contribuire al finanziamento di questi laboratori? E’ chiaro che un aiuto importante all’iniziativa dovrà arrivare dalle imprese, grandi o piccole che siano, grazie a risorse economiche, oppure mettendo a disposizione tecnici o know how qualificato. Ma la mobilitazione non può limitarsi a un consolidamento del rapporto fra scuola e aziende. Se prendiamo sul serio coloro che parlano di “Terza rivoluzione industriale” (l’Economist, ad esempio), è auspicabile che la società nel suo complesso sia pronta a scommettere su una sfida tecnologica che riguarda tutti (non solo chi lavora nella manifattura).
In generale, la crisi di questi anni ci dice che non possiamo più limitarci a immaginare una scuola agganciata ai tempi e alle modalità dei processi decisionali cui siamo stati abituati in passato.
Non possiamo aspettare a braccia conserte che il sistema si rimetta in modo da sé. Ci sono spazi di manovra che vanno sfruttati, soprattutto in quelle aree come la formazione tecnica che oggi hanno accumulato un ritardo ingiustificabile.
Articolo precedentemente pubblicato su CheFuturo!
di Stefano Micelli