L’intervista ad Alberto Onetti, Chairman di Mind the Bridge. I dati di Tech.eu sono eloquenti sull’ecosistema del vecchio Continente: a luglio 4,7 miliardi raccolti, quasi -50% rispetto allo stesso periodo del 2022
Come abbiamo riportato nel nostro paper pubblicato a SIOS Summer, la situazione per le startup italiane è complessa. La raccolta di capitali nel primo semestre 2023 – 487 milioni di euro – ha segnato un -51% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ma le cose non vanno molto meglio in Europa. Tech.eu ha pubblicato di recente dati interessanti sul fundraising delle aziende innovative del vecchio Continente. Per commentarne i dati, in un agosto che per molti imprenditori vale come momento di studio e riflessione durante le ferie, ci siamo rivolti ad Alberto Onetti, Chairman di Mind the Bridge.
A luglio, secondo i dati di Tech.eu, le startup europee hanno raccolto 4,7 miliardi di euro. Rappresenta un calo di quasi il 50 rispetto allo stesso periodo del 2022. Come possiamo commentare questo elemento?
Nulla di particolarmente inatteso o sorprendente: è l’effetto del VC pullback o VC reset iniziato nel secondo trimestre dello scorso anno negli Stati Uniti. Come previsto, almeno dal sottoscritto visto che c’erano ai tempi un po’ di voci discordanti al riguardo, l’onda restrittiva partita dal segmento late stage si è poi propagata su tutta la catena di investimento arrivando a colpire anche early stage e seed. E dagli Stati Uniti si è propagata in tutto il resto del mondo, Europa e Italia comprese. Il ritardo è stato di circa 6-9 mesi. Quindi oggi qui siamo ancora in “inverno”.
Sempre dai dati emerge che il 70% degli investimenti è indirizzato a startup che sono già in portfolio. C’è ancora più paura dell’ignoto e dunque si pensa così di andare sul sicuro?
Normale politica gestionale. Quando hai poco capitale sei costretto a proteggere le aziende che hai in portafoglio che fanno fatica a fare normale fundraising. Per “normale” intendo uprounds, ossia round con valutazioni in crescita con nuovi lead investors, cui gli investitori esistenti partecipano con i pro-rate. In condizioni di stretta, le startup fanno fatica: o chiudono, o fanno downrounds, oppure ottengono extensions di round precedenti con valutazioni e condizioni non eccezionali, che di solito portano a dilution.
Tempi difficili per chi fa impresa. Cosa c’è che rende la situazione ancora più complessa?
C’è meno offerta di capitale che diventa molto più selettiva. E chi ha bisogno di capitale o perché sta partendo con un nuovo progetto o perché la propria startup finisce la cassa fa molta fatica, fatta eccezione per chi ha track record preesistente o è su temi super hot come ad esempio generative AI. Però le maglie sono in genere molto più strette.
Se non altro sembrano terminati i layoff. Dal tuo punto di vista si è letto quel fenomeno in maniera sbagliata, come una crisi di sistema?No, anche qua è stata la risposta delle Big Tech ad un mercato in contrazione. Le loro extra valutazioni erano basate su tassi di crescita che non erano compatibili con le attuali condizioni di mercato. Ergo, non potendo lavorare sui ricavi, sono dovute intervenire sulla leva dei costi. L’old fashioned EBITDA alla fine spiega molto, se non tutto.
Quali sono i punti in agenda da tenere a mente per il secondo semestre? Ci sono appuntamenti da segnarsi per orientarsi meglio sul futuro?
No, si “ha da passà ‘a nuttata”. Le prime luci compariranno dalla Silicon Valley e dagli USA. Al momento, passando da Eduardo De Filippo a Erich Maria Remarque, ancora “niente di nuovo sul fronte occidentale”.