Per la nuova puntata sugli Italiani dell’altro mondo la storia di Chatwin, nata dal globetrotter Enrico Quaroni. «A 23 anni ho scoperto quanto fossi stato un privilegiato ad aver vissuto in Italia»
Che cos’ha in comune un autore come Bruce Chatwin, vissuto per buona parte del Novecento viaggiando in tutto il mondo, dall’Australia alla Patagonia, documentando le vite di popolazioni indigene, sensazioni ed emozioni in libri-documentario, con il settore dell’innovazione e delle startup? Apparentemente nulla, ma solo perché occorre prima conoscere una delle storie più affascinanti appuntate sulle agende Moleskine tanto amate dall’avventuriero inglese. Uno dei suoi libri, Le vie dei canti, racconta mitologia e vita quotidiana degli aborigeni in Australia: il titolo fa riferimento a sentieri invisibili, che collegano ciascun membro con i propri totem originari e che è pericoloso interrompere, ad esempio con la costruzione di ferrovie. «Ho scelto il nome Chatwin proprio per questo: vogliamo offrire una via molto difficile da trovare, quella della crescita e dello sviluppo», racconta a StartupItalia Enrico Quaroni, Ceo e cofounder della società e ospite di questa nuova puntata di Italiani dell’altro mondo.
Un globe trotter
Il paragone tra le due storie – quelle di Bruce Chatwin e di un’azienda fondata pochi anni fa – finirebbe qui, se non fosse che anche Quaroni condivide un percorso da globe trotter. «Ho studiato in Bocconi – ci racconta – e la mia prima esperienza lavorativa è stata alle Nazioni Unite, a Giacarta. Ho vissuto per un anno in Indonesia. Seguivo progetti di sviluppo industriale per l’agenzia United Nations Industrial Development Organization. A 23 anni ho scoperto quanto fosse grande il mondo e quanto fossi stato un privilegiato ad aver vissuto in Italia». Nel corso della sua vita ha vissuto per molto tempo a Madrid, Londra, Parigi, trascorrendo anche periodi in Australia e a San Francisco.
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Dalla musica rock all’advertising
Le tante storie di italiani e italiane dell’altro mondo che stiamo raccontando da mesi ci hanno messo di fronte a persone che, in certi casi, hanno sempre avuto chiari i propri obiettivi. In altri casi no: Enrico Quaroni non avrebbe potuto immaginarsi un futuro da imprenditore verticale nel mondo della tecnologia, lui che nel 2006 aveva deciso di lanciare una rivista freepress, pill box, dedicata alla musica rock e alla cultura indipendente. «Quando internet iniziava pian piano a svilupparsi lanciavo una rivista cartacea – ricorda con un sorriso -. Abbiamo intervistato Alda Merini, gli Stereophonics, i Baustelle, i Negramaro». Dopo quell’esperienza ha proseguito a lavorare nell’editoria, mantenendo costante quella passione.
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Nel 2011 l’incontro con la startup israeliana MyThings, pronta a sbarcare in Italia, gli ha spalancato le porte della tecnologia che ha iniziato a conoscere diventando esperto del segmento del digital advertising. «La mia fortuna è stata quella di essere assunto nel 2013 da Rocket Fuel, società poi quotatasi al Nasdaq». Enrico Quaroni qui ha conosciuto il fondatore Richard Frankel, imprenditore e investitore di grande esperienza in ambito tecnologico, che si sarebbe poi unito al team di Chatwin in qualità di co-fondatore. Veniamo dunque al focus su questa società: che cosa fa Chatwin?
Le vie di Chatwin
Il suo business si struttura nel pianificare una strategia di go-to-market efficace, espandere il business in nuovi mercati, incrementare la valutazione e stringere collaborazioni internazionali con clienti, advisor e mentor per aprirsi a opportunità sullo scenario globale. Come realtà punta ad affiancare società a elevato tasso di innovazione tecnologica, supportandole nella loro espansione internazionale. «Viviamo in un’epoca in cui lo scenario è ricco di idee e capitali, che però faticano a emergere a causa dell’elemento critico rappresentato dalla scalabilità del business, ostacolata da un mercato altamente competitivo», spiega Quaroni.
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Non è in discussione il fatto che le startup siano avventure imprenditoriali rischiose. Ma secondo Chatwin, che cita dati di Mamazen, alcune di quelle che muoiono avrebbero potuto salvarsi: il tasso di fallimento di una startup entro i primi 4 anni di vita è del 95%. Le principali cause sono modelli di business fragile, sottovalutazione delle questioni legali e amministrative, la mancata raccolta o pessima gestione dei fondi ricevuti e un’idea non validata prima di essere lanciata sul mercato. «Il nostro sogno è trasformare l’Europa in una Silicon Valley. Ne sono certo: le nostre capacità sono apprezzate e valide. I mercati hanno grandi opportunità». Oltre ai modelli e ai prodotti, la differenza la fanno poi le persone. «Tante volte solo l’umiltà del founder permette all’azienda di salvarsi. E poi va compreso il fatto che per penetrare un mercato bisogna raccontare una storia. La comunicazione può trasformare un’azienda».
Nello speciale Unicorni scornati su StartupItalia ci siamo concentrati con investitori e VC sulle potenzialità del nostro paese, con un occhio sempre realista. Avendo attivato diversi business in vari paesi, abbiamo chiesto a Quaroni qual è il metodo per espandersi a livello internazionale. Posto che una startup, oggi come oggi, deve per forza porsi l’obiettivo di pensare globale. «Rispetto all’America si può rischiare meno. Per accendere un paese spendi una frazione di quello che faresti negli USA. L’Italia come territorio in cui aprire una società è perfetta: il cash burn che richiede lo stare in in Italia è conveniente. L’America è un mercato in cui devi andare con le spalle coperte». E non soltanto San Francisco. «Penso a New York: non è un posto facile se non hai soldi per fare rumore».