Più della metà delle nuove imprese mappate utilizza gli SDG (Sustainable Development Goals) come riferimento per il proprio business. Per i nostri longform della domenica la riflessione di Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori Startup Thinking e Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano
Gli ultimi anni, in particolare a partire dal 2020, sono stati caratterizzati da avvenimenti globali drammatici e difficilmente prevedibili con un altalenare di crisi e riprese. Sono stati però questi gli anni in cui, forse proprio sulla spinta delle crisi, l’ecosistema startup nazionale si è maggiormente assestato con una configurazione più matura in termini di finanziamenti e filiera. Pur essendo ancora lontani dalle dimensioni di Paesi come Francia, Spagna e UK, la soglia rappresentativa del miliardo di euro in finanziamenti in equity è stata superata (1,131 miliardi di euro nel 2023) e sono sempre più sistemici e concreti gli interventi degli attori istituzionali, a cominciare dalle azioni volano di CDP. Le startup rappresentano sempre più una risorsa per l’economia nazionale con un riconoscimento da parte delle imprese e degli investitori anche a livello internazionale (36% degli investimenti in equity nel 2023). Sono queste le evidenze delle ricerche degli Osservatori Startup Thinking e Startup Hi-tech del Politecnico di Milano.
Le collaborazioni con le startup offrono vantaggi sostanziali reciproci per le parti in gioco, dalla possibilità di ridurre i costi e i tempi delle sperimentazioni alla possibilità di condividere asset, canali commerciali e competenze specifiche. Ma il contributo più significativo portato dalle startup alle economie mature è rappresentato dalla Ricerca & Sviluppo prodotta e messa a disposizione del tessuto economico. Spesso si tratta di ricerca di frontiera sulle tematiche più disruptive, non sempre nei radar delle imprese tradizionali, più concentrate sul business corrente. Parliamo di deep-tech, bio-tech, life-science, e in particolare transizione ecologica e sostenibilità. Una sfida, quella dello sviluppo sostenibile, sempre più sentita a livello internazionale ma anche italiano; una sfida che si è resa ancor più prioritaria nello scenario post pandemico, con lo scoppio della guerra in Ucraina, il conseguente aumento dei prezzi e le crisi energetiche.
L’importanza della tecnologia
All’interno di questo scenario, la tecnologia può giocare un ruolo da protagonista, e con essa, le startup. Secondo, infatti, l’analisi svolta da IEA (International Energy Agency), ben il 35% delle emissioni di CO2 saranno ridotte, entro il 2070, grazie all’utilizzo di tecnologie che ad oggi si trovano ancora nella loro fase embrionale, ovvero di prototipazione e/o dimostrazione. Queste sono tecnologie che devono essere ancora sviluppate: si prospetta quindi un quadro interessante per lo sviluppo di nuove attività imprenditoriali, un terreno fertile per la nascita di nuove startup, in primis hi-tech e deep-tech.
La ricerca 2023 dell’Osservatorio Startup Thinking ha analizzato la relazione tra sviluppo sostenibile e startup nel nostro Paese, attraverso una survey condotta su un campione di 98 startup italiane. Il 60% delle startup del campione analizzato sono nate negli ultimi 5 anni e la grande maggioranza è finanziata in capitale di rischio; parliamo quindi di un campione significativo di giovani iniziative che hanno già raccolto interesse dal mercato e investitori. Ben il 76% delle startup dichiara che le proprie attività core sono direttamente legate a tematiche di sostenibilità, evidenziando un impegno significativo verso questi principi. Questa chiara adesione si riflette principalmente in soluzione per il versante ambientale e tra queste citiamo Fili Pari, Junker App e newcleo; segue l’ambito sociale, con startup quali ad esempio Mine Crime e Open Stage, e infine l’ambito governance, con ad esempio Deix. Inoltre, più della metà delle startup utilizza gli SDG (Sustainable Development Goals) come riferimento per il business, sottolineando l’ampia considerazione strategica di questi obiettivi e come la condivisione di un indirizzo strategico comune possa essere un driver importante nelle scelte operative delle singole realtà. Essere sostenibili è un aspetto che sempre più viene valutato positivamente anche dai vari attori coinvolti nella filiera delle startup, dagli investitori ai clienti e fornitori.
Startup sempre più green
Focalizzandoci sull’asse ambientale della sostenibilità, prediletto dalle startup, il 13% delle startup è attivamente coinvolto nella misurazione della propria carbon footprint, mentre il 72% ha l’intenzione di adottare questa pratica in futuro. Di quelle che misurano le emissioni, il 73% ha una carbon footprint inferiore a 250 kg di CO2 per dipendente, risultato notevolmente più basso rispetto alle PMI di servizi (circa 750 kgCO2/dipendente) e alle PMI generiche (4500 kg CO2/dipendente), secondo i dati forniti da Up2You. La gestione delle emissioni emerge quindi come un punto di attenzione per le startup. Quelle che già si stanno muovendo su questo fronte presentano performance distintive e mostrano come le startup abbiano un approccio discontinuo rispetto alle imprese tradizionali. Per ridurre le emissioni, le pratiche più adottate sono i principi di smart working (2/3 del campione) che permettono di limitare le emissioni legate agli spostamenti casa-ufficio o all’uso di energia in ufficio; quasi la metà acquista e/o utilizza tecnologie a minor consumo energetico (43%) e adotta soluzioni di economia circolare (42%). Nell’ambito della sostenibilità sociale le startup si distinguono per la prevalenza di iniziative a favore della flessibilità, adottate da oltre i 3/4 del campione.
Venendo all’ambito della governance, se da una parte le startup italiane dichiarano un interesse importante e una propensione verso le tematiche di sviluppo sostenibile, sono invece rari i casi in cui startup italiane presentano certificazioni volte a comprovare un coinvolgimento concreto su questi temi, quali ad esempio Bcorp, ISO14000 e altre. Più della metà delle startup esprime tuttavia l’intenzione di conseguire tali riconoscimenti in un prossimo futuro. Allo stesso modo, solo il 10% delle startup intervistate dichiara di aver pubblicato un bilancio di sostenibilità o documenti che rendicontino i propri sforzi in termini di Corporate Social Responsibility (CSR). I motivi per cui certificazioni e bilanci di sostenibilità risultano ancora poco adottati dalle startup possono essere diversi. Innanzitutto, le certificazioni sono nate per organizzazioni con strutture e processi ben più complessi rispetto a quelle delle startup, per loro natura più snelle. In secondo luogo, vi è un tema importante di scarsità di risorse: nei primi anni di vita, le risorse a disposizione della startup sono utilizzate, in via prioritaria, per prototipare e dimostrare il proprio potenziale sul mercato. Non da meno, è necessario possedere competenze specifiche per la revisione e rendicontazione dei propri processi e comportamenti in termini di sostenibilità. Esiste infine anche un approccio meno fideistico alle certificazioni da parte delle startup, più orientate alle azioni concrete che agli attestati.
Le soluzioni offerte dalle startup
La ricerca ha infine censito 147 startup italiane nate dal 2018, finanziate in equity e con una value proposition esplicitamente correlata alla sostenibilità, sia per proporre una soluzione che ha un impatto diretto sulla sostenibilità (es. Biova Project e Circular Materials) sia per fornire applicazioni che abilitino il raggiungimento di obiettivi sostenibili da parte dei propri clienti (es. Up2You, AWorld, Wiseair). La quasi totalità delle startup censite propone una soluzione che vuole contribuire ai principi di sostenibilità ambientale (88%) e le soluzioni sono in prevalenza negli ambiti Climate tech per il 28% dei casi (ad esempio startup che creano soluzioni come pannelli solari, dispositivi per cattura di CO2, batterie riciclabili ecc.); seguono Agrifood (startup che operano nel campo dell’agricoltura e del cibo, cercando di efficientare i raccolti, diminuire gli sprechi alimentari, ridurre le emissioni e gli sprechi nell’agricoltura ecc.), Mobility (come app per prenotare trasporti green, efficientamento della mobilità, creazione di veicoli smart ed elettrici, creazione di stazioni di ricarica rapide e green ecc.) e Industrial & Manufacturing (startup nell’ambito dell’additive manufacturing, dell’efficientamento della logistica per le imprese, produzione di prodotti green per la casa, creazione di prodotti riciclati per imballaggi, software di controllo e gestione per le imprese ecc.), rispettivamente 14%, 12% e 12%.
Le startup rappresentano dunque un asset rilevante e imprescindibile per un Paese, soprattutto per l’Italia dove per la Ricerca e Sviluppo si investe ancora troppo poco, solo l’1,5% del PIL contro il 3% dato come obiettivo europeo. La robustezza dell’ecosistema startup può permetterci di dare continuità all’innovazione che rappresenta per il Paese un fattore di resilienza imprescindibile per il contrasto alle crisi e agli eventi avversi.