George Coelho è una figura di spicco nel mondo del venture capital, noto non solo per la sua visione imprenditoriale, ma anche per il suo impegno personale nei confronti della sostenibilità e dell’innovazione.
La visione di George Coelho
Di origini portoghesi, Coelho ha vissuto a lungo negli Stati Uniti e in Europa, portando con sé una prospettiva globale che ha influenzato il suo approccio agli investimenti. È stato uno dei pionieri nel combinare l’attenzione per l’impatto sociale con la necessità di ritorni finanziari, credendo fermamente che il successo aziendale debba essere accompagnato da un impatto positivo sul mondo.
George Coelho è il fondatore di Astanor Ventures che ha lanciato il suo primo fondo nel 2017 con €273 milioni da investire in aziende che si occupano di sostenibilità nell’agricoltura e nei sistemi alimentari. Nel 2020, hanno raccolto oltre 325 milioni di dollari, specificamente per finanziare aziende Astanor Ventures ha sostenuto oltre 30 aziende in Europa e Nord America, concentrandosi su settori come AgriTech, FoodTech. Alcune aziende dove il VC ha investito includono Infarm, Apeel Sciences e Ynsect.
George Coelho ha fatto tappa in Italia per partecipare a The Gathering Bologna, evento dedicato al mondo dell’innovazione e delle tecnologie che ha portato a Bologna alcuni fra i più importanti investitori del globo. George Coelho è stato invitato a moderare l’incontro con Federico Marchetti, founder di Yoox. Le storie di Marchetti e di Coelho si sono incrociate anni fa.
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Coelho ha infatti contribuito alla quotazione in borsa di Yoox, primo unicorno italiano. «George, devo confessarti una cosa», ha subito detto Marchetti. «Non l’ho mai detto a nessuno ma, pochi giorni prima della quotazione in Borsa, avevo ricevuto una chiamata da Bezos. Amazon mi aveva fatto un’offerta di acquisto, ma rifiutai».
Sentendo quelle parole, George Coelho scoppia in una risata. Il destino di Coelho si è intrecciato non solo con Marchetti ma anche con altri imprenditori italiani che hanno potuto contare sulla sua lunga esperienza come Marco Trombetti. Alla fine dell’incontro intercettiamo George Coelho, una persona affabile e disponibile che accetta di rispondere ad alcune domande per StartupItalia.
Intervista a George Coelho
George Coelho, quando ha iniziato il suo percorso nel mondo del venture capital?
Ah, è passato un po’ di tempo… lasci che ci pensi, era aprile del 1990. A quell’epoca lavoravo ancora per Intel.
Ricorda il suo primo investimento?
Certo, come potrei dimenticarlo. Il mio primo investimento come venture capital fu nel settore tecnologico con GO Corporation, il primo sistema operativo basato su penna, precursore degli attuali sistemi touchscreen
Se non sbaglio, quella fu una delle startup più finanziate di sempre…
Esattamente.
«La sostenibilità funziona, credetemi»
Negli ultimi anni si è molto dedicato alla sostenibilità con Astanor Ventures. Come è cambiata la sua visione degli investimenti?
In realtà investo nella sostenibilità da oltre venti anni, ben prima che diventasse un tema così popolare. Si tratta davvero di usare meglio le risorse e sfruttare le nuove tecnologie che ci consentono di fare le cose in modo più sostenibile.
Lei ha sempre scommesso sulle attività green, vero?
Ho iniziato con il riciclo della plastica, poi il fotovoltaico, l’eolico, l’idroelettrico e l’efficienza energetica. Oggi, con Astanor, mi occupo anche di Agrifoodtech. C’è molto di più che possiamo fare in futuro. Il solare fotovoltaico e l’eolico, per esempio, sono diventati tra i modi più economici per generare energia, anche in Italia, dove ho investito in impianti energetici. La sostenibilità funziona, credetemi.
«Astanor si concentra sul rompere i vecchi paradigmi dell’Agrifoodtech e introdurre nuove tecnologie a beneficio di agricoltori e consumatori»
Uno dei principali focus di Astanor Ventures è l’agricoltura rigenerativa. Perché avete scelto questa nicchia?
Perché in molte aree il suolo è stato sfruttato al punto da diventare sterile. Il nostro obiettivo è rigenerare questi terreni, rendendoli nuovamente fertili, riducendo l’uso di sostanze chimiche e migliorando le rese. Sappiamo che questo è possibile, sia per la coltivazione delle colture a file sia per l’allevamento. Astanor si concentra sul rompere i vecchi paradigmi dell’Agrifoodtech e introdurre nuove tecnologie a beneficio di agricoltori e consumatori.
Vede dei rischi nell’eccessiva dipendenza dalla tecnologia per risolvere problemi globali come quelli agricoli, o si definirebbe un “tecno-ottimista”?
L’agricoltura è sempre stata legata al progresso tecnologico, dai trattori alla Rivoluzione Verde, che ha trasformato il secolo scorso. Oggi, grazie alla tecnologia, possiamo nutrire il mondo con ciò che abbiamo. Paesi come l’India e il Messico, una volta importatori di cibo, sono diventati esportatori. Sono ottimista sul fatto che la prossima ondata di innovazioni porterà fertilizzanti, pesticidi e sementi migliori e più sicuri, rendendo il sistema alimentare ancora più efficiente. Stiamo investendo attivamente in questi settori.
Con l’aumento della consapevolezza su cambiamenti climatici e sostenibilità, quali tendenze promettenti vede nel settore agricolo e alimentare?
Si tratta di una lunga transizione che richiederà anni. Sostituire alimenti ad alto contenuto di carbonio, come la carne, con alternative vegetali è un tema emergente. Stiamo assistendo a un’evoluzione dei prodotti e presto avremo opzioni che saranno economiche, nutrienti e deliziose. Anche la riduzione di zuccheri, grassi e sodio nei cibi è una direzione in cui stiamo andando. L’Italia è in una posizione migliore rispetto a molti altri paesi, soprattutto se confrontata con le diete medie negli Stati Uniti o nel Regno Unito.
In che modo gli investitori possono influenzare positivamente questi cambiamenti?
Stiamo tutti lavorando per accelerare questa transizione e combattere malattie legate allo stile di vita, come il diabete di tipo II, legato all’alimentazione. Per quanto riguarda il clima, dobbiamo migliorare l’uso del suolo e dell’acqua. L’uso efficiente dell’acqua sarà una delle grandi sfide del futuro. Stiamo investendo in tecnologie che trattano il terreno in modo innovativo, dalla lavorazione alla fertilizzazione. Cambiamenti significativi sono all’orizzonte, e noi siamo pronti a sostenerli con i nostri investimenti.
La sostenibilità, come ha detto, richiede tempo, una parola che a volte sembra in contrasto con il mondo degli affari. Come riuscite a bilanciare il rischio finanziario con una visione sostenibile a lungo termine?
La sostenibilità, per definizione, riguarda il lungo termine. Abbiamo fondi con un orizzonte decennale e raccogliamo costantemente nuovi fondi per supportare le aziende che hanno bisogno di tempo per crescere. Il bilanciamento dei rischi avviene selezionando aziende con caratteristiche e profili di rischio diversi. È normale che alcune non raggiungano il successo, ma altre lo faranno. Questo è il modello del venture capital, alcune aziende di grande successo compensano le perdite. È la Legge del più forte 😊
Quali criteri utilizzate per valutare una startup?
Anche le startup seguono alcune “regole pratiche”. Non c’è una formula magica, ma abbiamo alcune convenzioni per valutare le imprese nelle fasi iniziali. A volte ci sono bolle in cui le aziende vengono sopravvalutate. Tuttavia, la maggior parte delle start-up nelle prime fasi ha valutazioni tra i 10 e i 20 milioni di dollari, a seconda del loro stato, del team e dei ricavi. È fondamentale che gli imprenditori mantengano una quota significativa dell’azienda e che le condizioni non siano troppo restrittive, perché devono gestire l’azienda, non gli investitori.
Quanto è importante per lei che un’azienda non solo generi un ritorno economico, ma abbia anche un impatto sociale positivo?
Un’azienda sostenibile deve generare profitti per poter continuare la sua missione. Ad esempio, abbiamo un’azienda nel nostro portafoglio che finanzia agricoltori in Messico, aiutandoli a produrre e vendere più efficacemente sul mercato statunitense. Questo ha reso gli agricoltori più competitivi e ha offerto ai consumatori prodotti migliori e più nutrienti a un costo ragionevole. Inoltre, ha ridotto l’impatto ambientale lungo la catena di approvvigionamento.
«Ho lasciato gli Stati Uniti gli venticinque anni fa per investire in Europa. E ho avuto ragione»
Lei abita a Londra ma viene spesso in Italia. Come vede l’ecosistema delle start-up in Europa rispetto agli Stati Uniti?
Sono tornato in Europa venticinque anni fa dalla Silicon Valley perché ho visto che si potevano costruire grandi aziende anche qui. E avevo ragione. L’Europa ha prodotto leader globali come ARM e Spotify. Naturalmente, la Silicon Valley è unica, ma l’Europa deve concentrarsi sulla costruzione di un ecosistema che supporti gli imprenditori a livello globale. L’Italia ha ottime università, un talento tecnico eccellente e costi più bassi rispetto ad altre parti del mondo. Ho avuto il privilegio di investire in alcune aziende italiane, e vedo un grande potenziale per la regione dell’Emilia-Romagna e per tutto il Paese.
«Agli startupper italiani dico: costruite una base solida nel vostro Paese ma pensate “global”»
Se dovesse consigliare uno startupper italiano, gli direbbe di rimanere in Italia?
Se la sua attività si rivolge al mercato italiano, allora sì, l’Italia è abbastanza grande. Tuttavia, la maggior parte delle aziende digitali di successo scopre che il mercato interno è troppo piccolo e che deve espandersi a livello globale. Mi concentro personalmente su aziende che pensano al mercato globale fin dall’inizio. L’Italia è un Paese che ha scoperto il mondo, quindi le sue aziende dovrebbero fare lo stesso. Costruire una base solida in Italia e poi verso la conquista del mercato internazionale.
Quali consigli darebbe agli imprenditori che vogliono entrare nel campo dell’innovazione sostenibile?
È utile avere un po’ di esperienza nel settore, magari in ruoli tecnici o in mercati emergenti. Comprendere i problemi specifici, che si tratti di agricoltura, energia, acqua o trasporti, è fondamentale. Bisogna avere una forte convinzione che il cambiamento sia necessario, una visione realistica su come realizzarlo, e tanta passione. Serve tempo e dedizione. Non concentrarti sui soldi; quelli arrivano dopo. Focalizzati sulla missione e unisciti a un grande team, preparati a lavorare sodo.
Lei è anche membro di Human Rights Watch. Cosa l’ha portata a fare questa scelta?
Ho conosciuto Ken Roth, uno dei grandi leader di HRW, anni fa. Sono rimasto colpito dalla sua visione e dal lavoro dell’organizzazione. HRW ha cambiato il mondo dando voce ai testimoni della tirannia e mettendo sotto esame violazioni dei diritti umani in ogni parte del mondo. Sono orgoglioso del lavoro che facciamo, soprattutto grazie ai nostri ricercatori che spesso operano in contesti molto difficili. Oggi sono nel Consiglio di amministrazione e continuo a sostenere la loro missione.