L’imprenditore israeliano Or Haviv, partner & Head of Global Innovation di Arieli Capital, fa la spola tra la Silicon Valley e Tel Aviv. «La guerra si ripercuote anche sulle startup e sulla loro capacità di lavorare, produrre, innovare. Rimanere competitivi è molto difficile»
Or Haviv ha 46 anni e vive a Herzliya, un quartiere vicino a Tel Aviv. Da più di 17 anni lavora tra la Silicon Valley e Israele, il suo Paese natale, alla creazione e alla crescita di ecosistemi in fase iniziale e piattaforme di investimento, generando portafogli con un patrimonio netto elevato e opportunità di investimento. Attualmente è partner & Head of Global Innovation di Arieli Capital, che ha dedicato 1,16 milioni di euro alle startup israeliane in early stage in campo finanziario e con percorsi di mentorship. Ma questa storia non sarà incentrata sui suoi meriti, non perché non ne abbia, dato che ha ricevuto l’onoreficenza di eccellenza dal Comandante in Capo dell’IDF (Ramatkal) per il suo servizio nelle Forze Speciali Antiterrorismo e per il suo lavoro nelle Forze Speciali dell’Aeronautica Militare, ma perché quello che ci racconta è il lato più bello dell’innovazione, seppur tragico. Il suo messaggio dovrebbe toccare tutti, non solo coloro che lavorano in questo settore, perché Or ci parla di persone prima che di capitali. «L’ecosistema delle startup è, anzitutto, fatto di persone, non solo di soldi. La tecnologia è possibile grazie alle relazioni, che non durano da un mese, ma a volte da una vita», racconta. Questa sua affermazione racchiude, probabilmente, il significato più profondo di quello che chiamiamo “ecosistema”. Un ecosistema di cui parliamo tanto sulle nostre pagine, quotidianamente, ma di cui spesso si dimentica l’importanza.
Questa lunga chiacchierata ci ricorda proprio quanto sia importante costruire relazioni, ecosistemi, interconnessioni, che vanno aldilà dei round, degli investimenti, del capitale. Perché è nella difficoltà che, più che mai, tiriamo fuori il nostro lato migliore. Or ha recentemente perso suo cugino, morto per salvare la sua famiglia dai terroristi. Se la guerra è la cosa più deplorevole del mondo, è l’unione che, anche in casi come questo, fa la forza. E Or ce lo racconta da un Paese che sta affrontando la prova più dura che ci sia.
Leggi anche: Israele, Startup Nation alla prova della guerra. «Per recuperare gli ostaggi in campo anche l’AI» [ESCLUSIVA]
Or, che cosa sta succedendo a chi lavora nell’innovazione in Israele?
Quello che sta succedendo qui ha un grande impatto da diversi punti di vista: fisico, psicologico, imprenditoriale. Fino a pochi giorni fa gli imprenditori si svegliavano presto, andavano in ufficio e lavoravano per far avanzare la propria startup. Adesso alcuni di loro hanno dovuto indossare un’uniforme e provare a salvare le proprie famiglie, il proprio Paese. Parliamo di fondatori, cofondatori, esperti di tecnologia, ingegneri. Molti spazi, uffici, laboratori non sono più accessibili perché sono considerati non sicuri. Quello che sta succedendo coinvolge tutti noi, è qualcosa con cui si deve fare i conti tutti i giorni, ammesso che si sia ancora vivi.
Come tutto questo impatta l’ecosistema delle startup?
La situazione affetta la loro capacità di lavorare, produrre, innovare. Le startup sono abituate a ritmi celeri di produzione, delivery, per rimanere competitive sul mercato, e in una situazione di stress, anche soltanto emotiva, fare tutto questo è molto difficile. Da un punto di vista finanziario, poi, coloro che si spostavano per cercare di reperire fondi per le startup adesso non possono più farlo, e la loro competitività, a livello globale, è sotto scacco. Se questa situazione perdurasse troppo a lungo, potrebbe essere fatale per molte imprese. Altre implicazioni da un punto di vista finanziario riguardano gli investitori, che sono essenziali per l’ecosistema delle startup e che molto spesso forniscono un networking e hanno una grande responsabilità nell’andamento di queste realtà. È una tragica situazione che riguarda tutto l’ecosistema: alcuni sono diventati volontari, altri fisicamente non possono spostarsi da dove sono. Le implicazioni sono molto simili a quelle che si verificarono durante l’emergenza sanitaria in pandemia, soprattutto in Italia.
Quale credi possa essere l’approccio giusto in un momento così delicato?
Ho molta fiducia nell’essere umano e nella sua capacità di tirare fuori il meglio di se in situazioni difficili. Dobbiamo scegliere di vedere la luce in questi tempi bui e io mi sento orgoglioso di far parte di un ecosistema che oggi vede tutta la comunità dei partner, delle startup, degli investitori, dei governi ecc.. riunita. Ci sono arrivati centinaia di messaggi, mail, telefonate da parte di tutto l’ecosistema mondo per dirci in che modo avrebbero potuto esserci utili. È incredibile assistere a una vicinanza e solidarietà tale che non ho mai percepito. L’ecosistema delle startup è, prima tutto, fatto di persone, non solo di soldi. La tecnologia è prima di tutto, fatta di relazioni, che non durano da un mese, ma a volte da una vita. E la vita è fatta di “up” e di “down”. Durante l’”up”, siamo tutti felici e contenti, ma la cosa più difficile è rimanere uniti quando succede il “down”. Sono estremamente sorpreso e felice di vedere la solidarietà che ci è arrivata da parte di tutti, anche in termini concreti con l’istituzione di fondi di emergenza e di piattaforme in grado di aiutare la popolazione.
Per esempio?
Concretamente, la piattaforma Jama, che abitualmente si occupa di cloud e tecnologia con i big data, ha creato un sistema che permette a chi è in cerca di una casa perché è stato evacuato, o di altro tipo di risorse, di trovarle nelle proprie vicinanze. Ringrazio Kfir Dayan Maya Dayan Shalev di Jama per aver messo a disposizione di tutti il suo know-how e, grazie alla tecnologia, avere aiutato, e continuare ad aiutare, centinaia di famiglie sfollate nelle zone di guerra a trovare un posto sicuro dove stare.
Che rapporto c’è tra le startup italiane e israeliane?
Molto stretto. In tempi di stress come quello che stiamo affrontando è molto difficile collaborare, ma devo dire che da questo punto di vista la comunità italiana in Israele si è riunita subito per cercare di trovare possibili soluzioni e viceversa: è qualcosa che non è per niente scontato. In Italia faremo anche una serie di eventi nei prossimi mesi durante i quali annunceremo una serie di nuove collaborazioni, una di queste molto importante, e speriamo che la situazione in Israele sia migliorata. Sono davvero orgoglioso di far parte di questo ecosistema e sono molto fiducioso nelle persone, sono sicuro che sapranno trovare soluzioni sempre più creative e innovative.
E cosa succede alle startup che sono basate in altri Paesi?
Molte startup che hanno sede all’estero sono legate a Israele: alcune hanno i propri headquarters qua, altre ancora gli investitori, non di meno i parenti, perciò la situazione riguarda un po’ tutti. La resilienza degli imprenditori israeliani è molto forte e il supporto da parte di tutta la comunità lo si avverte in modo sincero da tutto il mondo. Alcune startup ci hanno anche offerto i propri uffici in altri Paesi, magari startup che fino al giorno prima erano in competizione e, una volta scoppiata l’emergenza, hanno messo assieme le forze. Queste realtà sono per loro natura internazionali: alcune lavorano tra 5, 20 Paesi diversi. Il supporto che abbiamo ricevuto in questo momento è stato incredibile, è qualcosa che non è mai accaduto ed è qualcosa di molto importante perché ha un grande impatto non solo fisico o in termini di capitali ma a livello emotivo.
Personalmente come stai affrontando questo momento così difficile?
La mia famiglia vive al Sud, è scappata dalle proprie case per ripararsi dalle bombe, mio cugino è morto per salvare la famiglia. Con la sua morte ci ha ordinato di vivere e la situazione, seppur tragica e che coinvolge tutto il Paese, richiama quella solidarietà e quel senso di responsabilità innato che è dentro di noi. Ne vado fiero e sono orgoglioso di farne parte. Tutta questa vicinanza ci conforta tantissimo e speriamo che tutto finisca il prima possibile. Noi porteremo avanti il vostro impegno per proteggere le nostre comunità, prima di tutto.