È stato lanciato durante un evento a Roma First Bite, il primo Startup Studio italiano dedicato al FoodTech. Un modello di innovazione che non parte dall’intuizione di un imprenditore, ma che seleziona idee e talenti al fine di minimizzare il rischio di fallimento
Di solito una startup nasce dall’idea innovativa di un imprenditore inconsapevole che spende soldi e tempo dietro il suo sviluppo, aggregando persone e andando alla ricerca di finanziatori, partner e clienti. La startup nasce da una idea ed è solitamente un salto nel vuoto, che nel 90% dei casi si traduce in un insuccesso.
Qualcosa però sta cambiando, perché negli Usa e da lì nel resto del mondo si sta affermando il modello dello Startup Studio. Si tratta di una ‘fabbrica’ di startup che scova idee e business model vincenti, seleziona e forma talenti ed infine supporta lo sviluppo dei progetti, compreso il reperimento delle risorse finanziarie, fino all’exit. Il tutto ottimizzando tempi e risorse e cercando di minimizzare il rischio di fallimento.
Nasce First Bite, lo Startup Studio del FoodTech
Proprio pochi giorni fa c’è stato a Roma il lancio di First Bite, uno Startup Studio verticale sul FoodTech. Una nuova realtà che ha proprio l’obiettivo di creare le startup che rivoluzioneranno il panorama agro-food italiano, guardando ovviamente anche all’estero.
Animatore di questo progetto è Simone Ridolfi, ceo della holding MVND e di First Bite, selezionato dalla rivista Fortune tra i migliori 40 under 40 nella sezione startupper: “Durante la pandemia abbiamo assistito ad un’importante crescita del settore e, soprattutto, un maggior interesse nella ricerca di idee innovative per poter creare un sistema sempre più al passo con i tempi. Per questo è nato First Bite, il primo Startup Studio dedicato al mondo del FoodTech in Italia. Il nostro obiettivo è aiutare i giovani imprenditori del futuro, selezionati tramite università e aziende, a creare il proprio business grazie alla nostra esperienza. A loro metteremo a disposizione nozioni, conoscenze e un importante network di potenziali investitori”.
Il processo creativo dello Startup Studio
Siamo abituati a pensare che una startup vincente nasca da una idea geniale, mai avuta prima da nessuno, da parte di un imprenditore illuminato. In realtà il percorso che porta al successo di una startup può essere modellizzato e standardizzato per abbassare il rischio di insuccesso. E soprattutto le idee non sono così importanti come si pensa. O almeno è quanto ci racconta Ridolfi.
“Le idee sono importanti, ma in ordine di rilevanza io metterei prima di tutto il timing. Proporre il food delivery 20 anni fa probabilmente non avrebbe avuto il successo travolgente che invece ha oggi. E piattaforme simili a YouTube, lanciate in un momento sbagliato, prima che il mercato e la tecnologia fossero pronti, sono fallite. Dopo il timing c’è il team, che deve essere preparato e affiatato. Il business model, che noi valutiamo attentamente prima dell’avvio della startup. Il reperimento delle risorse e solo alla fine viene l’idea, che poi è la soluzione di un problema”.
E infatti le idee di business vengono selezionate con un’importante ricerca di mercato. Si studiano quali sono i trend a livello locale e globale nel settore food. Quali sono i bisogni dei consumatori, in che cosa investono le aziende e i fondi. Si guarda a modelli che hanno avuto successo all’estero e si prova a calarli nel territorio italiano o europeo.
“Alcuni trend nel settore FoodTech che si stanno affermando sono ad esempio nell’ambito della carne sintetica. Poi è molto interessante il mondo del senza zucchero e del ‘low carb’, in risposta all’esigenza dei consumatori di avere una alimentazione più sana. Il mondo del delivery, che negli anni passati ha avuto una crescita vertiginosa, continuerà ad essere importante e si affermeranno modelli maggiormente sostenibili, a livello economico, sociale ed ambientale, che saranno focalizzati sul soddisfare i bisogni di nicchie di mercato”.
Team e Timing
Una volta identificata una idea vincente si passa allo scouting dei talenti. Qui gioca un ruolo fondamentale il network che lo Studio riesce a creare, perché si devono reclutare le migliori menti che possano tradurre in realtà l’idea selezionata. Cruciale è trovare le persone giuste, con competenze trasversali, che poi vengono formate in un percorso che nel caso di First Bite dura sei mesi, al termine dei quali vengono creati i team a cui viene affidato il progetto che meglio si addice alle proprie expertise.
E qui sorgono alcune domande. Di solito lo startupper si lancia in una idea imprenditoriale spinto da un irrefrenabile desiderio di provare che la sua idea è vincente. E, in seconda battuta, per fare soldi a palate. Ci mette l’anima e la perseveranza in questi casi gioca un ruolo fondamentale. Come fa dunque lo startupper reclutato e a cui è affidato un progetto a crederci fino in fondo? E come viene remunerato? “Diamo al team delle quote del progetto, circa il 30%. Inoltre le persone che coinvolgiamo sono stipendiate. In questo modo hanno la sicurezza di un salario e la prospettiva di crescere nel caso la startup abbia successo”, spiega Ridolfi.
L’aspetto positivo è che il modello dello Startup Studio, anche nel caso di fallimento della startup, produce imprenditori seriali che imparando dai propri errori sono in grado di non ripeterli. Un ciclo di startup dopo l’altro First Bite avrà a disposizione talenti e team rodati che saranno in grado di accorciare i tempi di sviluppo dei progetti e di evitare, per quanto possibile, gli errori tipici degli imprenditori alle prime armi.
Una volta fatto il match tra team imprenditoriale e idea di business c’è la fase di execution e di reperimento delle risorse. Anche in questo caso gioca un ruolo importante lo Startup Studio che deve essere in grado da un lato di fornire mentorship adeguata ai giovani imprenditori e dall’altro di avere un network ampio e internazionale di corporate, fondi di investimento e business angels per reperire risorse, stringere partnership e infine concludere exit interessanti.
“Oggi abbiamo un rapporto stretto con l’Università La Sapienza di Roma, con il quale stiamo lavorando per valorizzare risorse umane, tecnologie e know how. Inoltre abbiamo lavorato con multinazionali quali Unilever, Campari e Barilla. Ma il network è in continua espansione”, sottolinea Ridolfi.
Durante l’evento di Roma si sono alternati sul palco imprenditori, startupper ed esperti che hanno cercato di fare una panoramica del settore. Ed è stato dato anche qualche numero: una startup tradizionale di solito impiega otto anni ad arrivare alla exit (se ci arriva), nel caso degli Startup Studio il tempo si dimezza, solo 4,3 anni. E se l’exit di un team tradizionale è in media di 50 milioni, quella degli Studio è di 75 milioni, il 50% in più.