Su StartupItalia è tempo dei nostri best of: rileggi le migliori storie raccontate nel 2023 per la rubrica “Italiani dell’altro mondo”. Un modo per rivivere l’anno partendo da coloro che hanno creato valore puntando sui mercati globali
Le storie degli “Italiani dell’altro mondo” hanno segnato tutti i nostri venerdì del 2023. Un modo per chiudere la settimana lavorativa e avviarci al weekend raccontando coloro che ce l’hanno fatta nei mercati internazionali. Rileggi anche i best of dedicati ai giovani protagonisti di Venti di Futuro, alle Unstoppable Women, ai VC, alle innovatrici e innovatori d’Italia, ai distretti dell’innovazione.
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Luca Bovone
«In Asia ho avuto le mie prime esperienze di co-living. A Shanghai vivevo in un appartamento con dieci persone. A Hong Kong in una micro unit da 10 metri quadrati davvero efficiente. Era il 2012 ed è in quel periodo in cui ho iniziato a ragionare su come offrire un’esperienza abitativa migliore per chi viaggia». Luca Bovone, classe 1991 di Genova, è il Ceo e Founder di Habyt, scaleup con sede a Berlino che quest’anno ha chiuso un round da 40 milioni di dollari. Ad oggi Habyt offre sulla piattaforma 30mila unità abitative in affitto in 15 Paesi. L’obiettivo a lungo termine di Habyt è stato annunciato: la quotazione. «Si tratta di un mezzo per arrivare a un fine: costruire una società che rimanga attiva negli anni come può essere Aibnb. Una società che abbia una sua presenza sul mercato. Per ora rimaniamo molto razionali».
Luca Cartechini
«La crescita del tech in Italia è frutto di un lavoro eccellente svolto negli ultimi cinque anni, partendo praticamente quasi da zero. In Italia, facciamo storicamente bene nel manifatturiero, farmaceutico e food, ma abbiamo rischiato di perdere il treno del digitale negli anni Duemila». Luca Cartechini, Ceo e Cofounder di Shop Circle, ci ha raccontato la sua visione sull’ecosistema italiano da Londra. La sua startup ha chiuso il round Seria A da 120 milioni di dollari. «I nostri round sono stati principalmente guidati da investitori americani. E questo è anche grazie al fatto che operiamo parzialmente da Londra. Ci facilita l’accesso agli investitori d’Oltreoceano».
Ilaria Fazio
«Lo strap-on è un sex toy che per tantissimo tempo ha costretto le persone a un’esperienza caricaturale. Questo perché è un prodotto pensato sulla fantasia degli uomini. Così abbiamo deciso di reinventarlo, in Francia. Essere a Station F è fondamentale per la credibilità agli occhi di banche e investitori». Ilaria Fazio è Ceo e Co-founder della startup Ma Joie, fondata insieme a Letizia Abis. «Entrambe apparteniamo alla comunità LGBTQ+ e quando ci siamo approcciati ai sex toy abbiamo capito che alcuni non sono affatto pensati per noi. Gli strap-on sono i prodotti più usati dalle lesbiche, il segmento che peraltro spende di più in sex toy. Ma è anche il prodotto che meno le soddisfa». Nell’intervista ci ha dato uno spaccato dell’ecosistema startup francese.
Alessandro Hatami
«Lo “Spotify bancario” è ancora in una fase embrionale. I primi prototipi di questo modello sarebbero già in gestazione e probabilmente verranno inizialmente offerti in lingua cinese. L’adozione del digital banking sta, in effetti, avvenendo in modalità diverse a seconda delle esigenze, delle culture e delle caratteristiche dei vari mercati». Alessandro Hatami, co-fondatore e managing partner di Pacemakers.io, è anche un esperto dell’ambito fintech. Lo abbiamo intervistat per farci spiegare come è nata l’analogia da lui proposta tra Spotify e il settore bancario e come saranno, dal suo punto di vista, le banche del futuro.
Claudia Marino
«Dato quanto ci ho investito, la vedo difficile tornare in Italia. Non vedo fondi di ricerca adeguati a quello che faccio qui». Curare l’Alzheimer è uno degli obiettivi scientifici del secolo ma, come ha ricordato Claudia Marino, siciliana e da diversi anni impegnata nei laboratori di Harvard a Boston, il traguardo è ancora lontano. «Dopo la laurea ho deciso che volevo fare la ricercatrice. Così ho scelto un dottorato che mi permettesse di farlo sia in Italia sia negli Stati Uniti. Sono andata nell’università del Texas». In tutto cinque anni di percorso in America, dove si è sempre focalizzata su quell’ambito. Da lì ha poi fatto il salto con il post-doc ad Harvard.
Paola Marinone
Potrebbe suonare come una frase fatta: nel 2006 era un altro mondo. Così Paola Marinone ci ha raccontato come ha vissuto, dall’interno, l’acquisizione di YouTube da parte di Google, l’azienda che pochi mesi prima l’aveva assunta a Dublino, lei che dalla campagna vercellese mai si sarebbe immaginata un lavoro del genere. «Eravamo elettrizzati, ricordo ancora il giorno prima del rilascio della press release: energia pura. La stampa però titolò in maniera diversa: dicevano che Google sarebbe fallita, perché YouTube non faceva profitti ed era sommersa da cause legali». Ora riuscite a percepire perché era davvero un altro mondo? Classe 1978, Paola Marinone ha fatto esperienza in una delle più importanti Big Tech e nel 2011 ha lanciato la sua startup, Buzzmyvideos.
Serena Perfetto
«Lavorare in una Big Tech ti insegna a non aver paura a chiedere chiarimenti. A confessare i propri limiti con un collega o un manager. Sono arrivata in California nel periodo migliore, subito dopo la ripresa dalla crisi del 2008». Serena Perfetto, responsabile di progetti tecnici per l’assistenza agli utenti e ai clienti di Pinterest, a San Francisco ci ha offerto spunti utili su come funzionano le cose in Silicon Valley. In qualità di presidente di BAIA, Business Association Italy America, aiuta i connazionali che atterrano in California. Nel 2010 mi sarei dovuta trasferire a Bruxelles per lavorare nelle istituzioni europee. La notte prima del volo ero a Roma, dove una amica che viveva a San Francisco mi ha fatto cambiare idea nel tempo di una cena. Mi è bastato sentire i racconti della Silicon Valley. Volevo capire se potesse essere quello il mio posto»
Barbara Sala
«Boston ha università importanti, a cominciare da Harvard, e una notevole concentrazione di talenti. Con New York e il New Jersey è uno degli ecosistemi più importanti per il settore medtech». Barbara Sala è la Ceo di Delcon, PMI fondata a Bergamo nel 1981 come distributore di apparecchi medicali. «Mi piace lavorare accanto a chi sviluppa, a chi ha le mani sul prodotto. Quando ti occupi della parte business devi anzitutto capire il prodotto. A 27 anni mi sono candidata per lavorare in Microsoft in Italia. Sono entrata con uno stage, ma ero talmente appassionata che ho deciso di accettare rinunciando a un lavoro a tempo indeterminato».
Pietro Schirano
Classe 1989 di Pulsano, vicino Taranto, Pietro Schirano ha lavorato in Facebook e Uber a San Francisco, per poi trasferirsi a New York, dove oggi guida una startup interna della fintech Brex, occupandosi di intelligenza artificiale. Negli anni dei primi iPhone si è innamorato, come tanti, del brand Apple. «Ma, come si dice, never meet your heroes». Se la ricorda ancora quella domanda: «Perché non rimani qua, in Italia?». Il padre lo stava accompagnando all’aeroporto, dove avrebbe preso il volo per Amsterdam. «Non ti so spiegare il perché – gli ha risposto -. Ma credo che questo sarà il trampolino di lancio per andare a lavorare negli Stati Uniti».
Giuseppe Scionti
«Dico sempre: non deve essere una copia della carne. Qualcuno potrebbe scoprire che è più buona e salutare della carne. Ricca di omega 3, che la carne non ha». Giuseppe Scionti, Ceo di Novameat, è una startup dell’ambito food con sede a Barcellona. Ha linee di produzione per sfornare carne vegetale e collabora con ristoranti e chef. «Lo ammetto: preferirei mangiare carne. Ecco perché ho iniziato a capire come migliorarla. Con Novameat vogliamo dare un’alternativa alla carne che sia buona, più salutare e meno costosa per le persone».