Nati in Irlanda, i corsi gratuiti di programmazione per bambini si stanno diffondendo sempre di più nel nostro Paese. Tanto che l’Italia è diventata seconda al mondo per numero di club. Abbiamo deciso di fare un viaggio in questo fenomeno che sta digitalizzando la scuola dal basso. E di raccontarvelo settimana dopo settimana
Nella scuola c’è una rivoluzione in atto. La stanno facendo un esercito di insegnanti volenterosi e classi di bambini impazienti di prendere un computer in mano e imparare. Ogni giorno questa rivoluzione si allarga un po’. Ogni giorno, in qualche parte d’Italia, nasce un Coderdojo: un corso gratuito per insegnare ai bambini a programmare. La parola è composta da “coder”, cioè chi scrive programmi e interfacce grafiche, e “dojo”, termine giapponese che indica il luogo dove ci si allena per apprendere le arti marziali. Il Coderdojo è dunque una specie di palestra per la programmazione, l’informatica e la robotica: un luogo dove i ragazzi mettono alla prova la loro creatività, e creano videogiochi, app, siti web.
Il fenomeno Coderdojo è un movimento non profit su base volontaria. Gli insegnanti che organizzano i dojo lo fanno per passione, gli incontri sono al di fuori dell’orario scolastico, spesso nei week end, utilizzando luoghi diversi. Agli incontri partecipano bambini e ragazzi dai 7 ai 17 anni: si divertono, imparano a programmare, e apprendono nuove competenze. I tutor nel Coderdojo guidano i bambini, ma senza sovrapporsi alla creatività dei piccoli: tutto deve nascere dalle loro mani e dalla loro testa. Per i partecipanti è tutto gratuito.
Dal primo Coderdojo italiano ad oggi sono nati 80 club, con nuovi insegnanti che si aggiungono alla rete ogni giorno. L’Italia, che ha una classe docenti tra le più anziane al mondo, e in Europa certo non brilla per avanzamento digitale, è seconda al mondo per numero di club Coderdojo dopo gli Stati Uniti. Se non è una rivoluzione questa.
La storia del Coderdojo
Il Coderdojo è nato nel 2011 in Irlanda, quando il diciottenne James Whelton ha hackerato – primo al mondo – l’iPod Nano della Apple. James ha attirato su di sé attenzione e interesse per il mondo della programmazione, soprattutto tra i più giovani. Così, James ha deciso di aprire, nella sua scuola a Cork, un computer club dove insegnare agli adolescenti le basi dei linguaggi di programmazione Html e Css. Poco dopo il giovane hacker incontra Bill Liao, un imprenditore e pioniere digitale australiano che vive a Cork. Nel giugno 2011 Whelton e Liao lanciano il primo Coderdojo nella loro città. L’evento ha molto successo: ci sono persone che da Dublino raggiungono Cork solo per essere presenti ai corsi di coding. Poco dopo c’è il secondo dojo nella capitale irlandese, e poi viene fondata l’organizzazione non profit Coderdojo.
Il movimento è open source ed è condotto da centinaia di insegnanti che durante i dojo fungono da mentor. Ogni insegnante che propone e organizza un Coderdojo è il “champion” di quel dojo. Il Coderdojo è dunque una rete mondiale di docenti che volontariamente e indipendentemente organizzano incontri per insegnare di più piccoli a programmare, in un ambiente informale, divertente e giocoso. La chiave è proprio questa: il gioco. Il movimento è diventato un fenomeno globale: secondo la Fondazione Coderdojo, a gennaio 2015, sono stati contati oltre 550 dojo in 55 Paesi del mondo, in crescita ogni giorno.
Gratuito, volontario e divertente
Gli incontri di tutto il mondo rispettano l’etica originaria dei Coderdojo, che devono essere gratuiti e privi di interferenze commerciali che possano disturbare i bambini. A parte questo, però, ogni dojo si può svolgere in modo libero, con attività che variano da club a club. I dojo si svolgono nei luoghi che gli insegnanti hanno a disposizione: le scuole, ma anche biblioteche, spazi di co-working, locali pubblici.
Le materie che si insegnano nei Coderdojo variano, ma di solito si parte da Scratch, un linguaggio di programmazione molto semplice, che i bambini riescono a imparare in fretta. Grazie a Scratch anche i più piccoli possono programmare le loro prime app o videogiochi. Nei dojo si lavora anche con JavaScript, Python, Arduino boards e Intel Galileos.
Il motto del movimento è “Sii in gamba”
“Above all: be cool! Bullying, lying, wasting people’s time and so on is uncool”. Fare il bullo, ingannare e far perdere tempo alle persone è così poco forte, dice il Coderdojo.
Il Coderdojo in Italia
L’Italia, a dispetto dei suoi tanti ritardi in fatto di alfabetizzazione digitale, è al secondo posto nel mondo per numero di club Coderdojo. Il primo incontro italiano si è svolto nel 2012 a Firenze. Bisogna attendere il 2013 perché il movimento prenda piede, ma si può dire che da allora non si è più fermato. Oggi ci sono 80 club: lo scorso anno erano solo 22. In Italia ha avuto luogo il più grande Coderdojo del mondo, con circa 800 bambini e 75 adulti: si è svolto a Matera, mentre la città era in corsa per il titolo di capitale della cultura europea 2019, che poi ha vinto. I Coderdojo vengono organizzati a Roma come nei piccoli centri, nelle scuole, ma anche nelle fiere, come è successo per il Coderdojo allestito recentemente alla fiera dell’elettronica di Rende, in provincia di Cosenza. A fianco ai corsi per i bambini sono nati anche gli incontri per soli insegnanti: i Teacherdojo.
Lo scopo dei dojo per gli adulti è quello di formare i docenti che poi dovranno trasmettere le competenze digitali ai bambini. Anche qui: corsi fuori dall’orario scolastico, tenuti da volontari, senza nessuno scopo di lucro. Ma gli insegnanti perché lo fanno? Perché, invece di rilassarsi sul divano, dovrebbero trascorrere le domeniche in mezzo ai bambini, insegnando anche fuori dal contratto? Agnese Addone, champion del Coderdojo di Roma, ospite di Riccardo Luna nella puntata de “The Innovation Game” del 22 aprile, ha dato la risposta: “Perché è divertente. I bambini imparano giocando e divertendosi, e per noi maestri è la stessa cosa. L’atmosfera dei Coderdojo è particolare, è coinvolgente e travolgente. Gli insegnanti vogliono tornare a giocare”.
In effetti, dai Coderdojo di tutta Italia, arrivano storie bellissime: noi proveremo a raccoglierle e a raccontarvele perché crediamo che da queste esperienze, nate in modo volontario e spontaneo, passi la scuola del futuro.