A soli 27 anni è già a New York, dove ha fondato una startup che usa l’intelligenza artificiale per rendere sicura la blockchain. La sua azienda è appena entrata nel programma di accelerazione di Nvidia, che l’ha definita tra le startup più promettenti nel campo dell’AI. Lui è Francesco Piccoli. A fine marzo, con un amico americano, Maxwell Watson, che ha lavorato in Coinbase, ha lanciato Almanax. Il loro “quartier generale” è a Wall Street, il piano proprio sopra Stripe.
«C’è una frase bellissima del mio ex professore di International Finance all’Università di Berkeley (ora rettore), che dice: ‘You can’t be, what you can’t see’. Non puoi essere ciò che non vedi. Se nasci e cresci in un posto dove si fa solo una cosa, come coltivare riso, hai una prospettiva limitata. Non riesci a immaginare le possibilità infinite che ci sono nel mondo».
Il lungo viaggio di Francesco Piccoli
Il riferimento al riso non è un caso. Piccoli proviene da un piccolo paese, situato nel delta del Po, in Emilia Romagna, circondato dalla campagna ferrarese. «Sono nato e cresciuto tra pannocchie e granoturco, in un luogo dove non succedeva mai nulla». Il suo primo trasferimento è a Torino, dove consegue la laurea triennale in ingegneria aerospaziale al Politecnico. Ma nel suo cuore c’è la Silicon Valley, la Mecca della tecnologia, e il sogno di partire. «Ho fatto un’application per conseguire la laurea magistrale all’Università di Berkeley, ho superato tutti i test e vinto una borsa di studio».
Detto fatto, si trasferisce in California, studia un mix tra ingegneria e statistica e diventa data scientist. «Vivevo in un dormitorio dove avevano vissuto 11 premi Nobel, il CEO di Google, e founder di startup di successo (tra cui la famiglia Zegna). Persone che credevo geni, ma che erano persone normali e mi ispiravano: vedevo che poteva essere possibile anche per me».
Per l’università, conduce una ricerca sponsorizzata da Ripple nel campo della blockchain, studiando anomalie della tecnologia. «Questo è stato il mio primo contatto con questo mondo». Poi arriva il Covid-19. Piccoli resta bloccato negli Stati Uniti e non riesce a tornare a casa. Quella che sembrava una storia triste – “per oltre un anno e mezzo non ho visto la mia famiglia” – diventa invece l’occasione per entrare in una startup emergente, imparare tutto, innamorarsi e decidere di rimanere negli Stati Uniti. «Restare bloccato in America in quei giorni terribili è stato faticoso, ma mi ha aperto enormi possibilità»
L’approdo a New York
Come data scientist, entra in una startup appena nata, la Anchain.Ai. «Eravamo in otto, siamo cresciuti tantissimo. Sono diventato presto Head of Product. Abbiamo raccolto capitali e assunto talenti. Il campo è la blockchain: ci sono protocolli che vengono hackerati per centinaia di milioni di dollari. Dopo un attacco, le forze di polizia e varie aziende investigano su dove va a finire il denaro. Noi sviluppavamo software per le indagini nel mondo delle criptovalute, specialmente post-hack. Lavoravamo con la Polizia di Stato italiana, la SEC negli Stati Uniti e il Dipartimento del Tesoro, vendendo loro software per questo tipo di indagini. In quegli anni mi sono accorto che c’era molto da fare anche soprattutto per prevenire questi attacchi».
Arrivato a New York per aprire la filiale di Anchain.Ai, conosce il suo co-founder, che lavora da Coinbase. Entrambi capiscono di aver imparato abbastanza e di essere pronti per fondare la propria startup nel settore.
Almanax ricorda la parola almanacco. «Gli almanacchi sono stati utilizzati per secoli per aiutare gli agricoltori, fornendo dati utili per guidarli. Noi vogliamo guidare e far sentire sicure le aziende sulla blockchain. Abbiamo aggiunto la “x” alla fine della parola per farla suonare un po’ più “futuristica”».
Il contesto in cui operano è quello degli smart contract, programmi informatici che facilitano le operazioni sulla blockchain. «Gli smart contract sono linee di codice. Purtroppo, una volta lanciati sulla blockchain non possono essere modificati. Se c’è un errore, resta. Se c’è una vulnerabilità nel codice, gli hacker possono sfruttarla per rubare fondi. E ciò avviene regolarmente».
In numeri, qual è l’entità del fenomeno? «Al momento, nel mondo ci sono oltre un miliardo di smart contract e ogni mese ne vengono lanciati milioni. Sulla blockchain di Ethereum, che è uno della principale, il mese scorso ne sono stati lanciati quasi 600 mila. E le frodi sono frequenti. Negli ultimi tre anni sono stati rubati 9 miliardi di dollari».
«Per proteggersi, le aziende blockchain assumono esperti di sicurezza informatica che possono testare gli smart contract prima del lancio. Questo processo è però molto costoso e richiede tempo. Le migliori società che fanno questo lavoro hanno liste di attesa di 5-8 mesi. «Noi ci inseriamo in questo spazio e utilizziamo algoritmi di intelligenza artificiale per prevenire gli attacchi degli hacker. Valutiamo e risolviamo le vulnerabilità degli smart contract prima che vengano lanciati».
In che modo l’intelligenza artificiale può aiutarti a prevenire questi attacchi? «Tra le varie strategie, prendiamo i vari modelli di intelligenza artificiale generativa, come GPT-4, Anthropic e Mistral, e facciamo un sub-allenamento, ossia un allenamento specifico per far diventare il modello molto bravo in quella attività specifica»
Intanto, Piccoli fa tesoro delle lezioni imparate. «Mi sono davvero trovato al centro dell’ecosistema che ha scritto la storia di Internet negli ultimi trent’anni e nel nuovo capitolo del web 3.0. Durante il periodo del Covid, con alcuni amici italiani che hanno fatto un MBA a Berkeley, abbiamo fondato un incubatore di startup pro bono e totalmente online: si chiama Astra Incubator, ed è dedicato agli studenti universitari italiani che fanno startup. Ora sono uscito dal progetto, ma l’incubatore è vivo e continua a ospitare nuove idee»
A New York, Piccoli si sente al centro del mondo: «L’innovazione tecnologica è enorme, c’è una grossa comunità che si occupa di blockchain e di intelligenza artificiale, ma al tempo stesso incontro ballerini, musicisti, persone che lavorano in finanza. Una città multietnica, un melting pot»
E ora quali sono i tuoi obiettivi? «Stiamo davvero spingendo per espandere l’azienda e portare sicurezza al mondo blockchain. Abbiamo annunciato ieri un nuovo seed round con un grande fondo VC basato in Silicon Valley, Defy.vc. A livello personale, questa è una grossa sfida: ho sempre voluto fare startup e finalmente ho l’occasione di lanciarne una».
«Mai avrei immaginato di arrivare fino a qui. Se guardo a 15 anni fa, ero alle scuole medie, in un piccolo paese, in mezzo alle risaie. I miei genitori non sono andati all’università. Mio papà spesso mi chiede come si manda un allegato via e-mail. Insegna in una scuola alberghiera ai Lidi ferraresi e mi spinge ogni volta a cercare di spiegare meglio quello che faccio.
“Non puoi essere ciò che non vedi”
Ho un background ingegneristico e mi piace andare nel dettaglio e parlare di cose tecniche, ma mi accorgo che le persone fanno fatica a seguirmi. Faccio sempre la prova con mio papà. Se lui capisce, ho fatto un buon lavoro. «Ogni tanto ripenso all’espressione del mio professore: “You can’t be, what you can’t see”. Non puoi essere ciò che non vedi. Vedere quante possibilità ci sono al mondo mi ha aperto a qualcosa che non pensavo esistesse e che non avrei mai immaginato. Si pensa sempre che i founder di startup milionarie siano geni che fanno tutto da soli, come Bill Gates o Elon Musk, non è cosi. Sono persone normali, molto intelligenti, che si circondano di persone altrettanto intelligenti e con obiettivi precisi. Se li vedi, lo capisci. Puoi solo essere ciò che vedi».
Lo scorso anno Piccoli ha organizzato in Italia un evento internazionale dove ha fatto un training a Polizia di Stato, Carabinieri, Gendarmeria Vaticana, insegnando loro come fare investigazioni nel mondo delle criptovalute. Intanto ha assunto il primo tirocinante italiano: è Giovanni D’Antonio, una vecchia conoscenza di Startupitalia. Un ragazzo filosofo che ha scelto Harvard ma che aveva passato i test per entrare in quasi tutte le più grandi università americane. «Ho un grande sogno. Quello di tornare in Italia per fare startup…».