«Un po’ mi manca il Sudafrica. Ci sono nato, tanto che con mia madre parlo tuttora inglese. Ma quella di restare in Friuli Venezia Giulia è stata una scelta. Ci sono tante chicche, un tessuto imprenditoriale forte, parecchi fornitori che in zona ci aiutano a produrre il purificatore Shelfy». Paolo Ganis, classe 1987, è nato a Johannesburg dove il nonno si trasferì nel 1930 ed è lì che i suoi genitori si sono conosciuti. «Negli anni Novanta siamo tornati in Italia». La passione per le cose estere gli è rimasta, ha concluso gli studi in Friuli – scienze internazionali e diplomatiche – per poi assecondare l’altra vocazione, il business. «Ho fatto la specializzazione in management in Bocconi a Milano, con i primi lavori in Mediobanca e poi a Generali». Il Ceo e co-founder della cleantech Vitesy, che sviluppa prodotti per la purificazione dell’aria, ci racconta la storia di un’azienda legata al proprio territorio, partita però con l’obiettivo di fare le cose guardando al mercato globale. «Quando siamo partiti mi son detto: o partiamo in grande e subito oppure niente».
La storia di Vitesy
Come abbiamo riportato su StartupItalia Vitesy ha chiuso il suo ultimo round da 4 milioni di euro a fine settembre, con lead investor il Fondo Rilancio Startup, gestito da CDP Venture Capital. Il prodotto di punta dell’azienda è Shelfy, un purificatore per frigorifero in grado di eliminare i batteri e abbattere gli inquinanti che accelerano la maturazione di frutta e verdura. Tecnologie domestiche per combattere lo spreco: 30mila i prodotti venduti finora con l’80% del fatturato derivante proprio da questo device. Ma questa è la storia degli ultimi mesi, frutto di un percorso decisamente più lungo, che tira in ballo una tesi di laurea e la potenza del networking.
Paolo Ganis non è rimasto a Milano come molti fanno giustamente per le grandi opportunità della capitale italiana delle startup. «Quando lavoravo in Generali, era il 2015, avevo già conosciuto Davide Dattoli e il suo grande lavoro con Talent Garden, a partire da Brescia». I primi spazi di coworking, negli anni embrionali dell’ecosistema servivano anzitutto per rendere riconoscibile il settore e far conoscere fra loro i talenti. «In questo momento sono nella sede di Talent Garden di Pordenone. Siamo stati tra i primi ad aprire. Mi aveva convinto l’effetto network, come trampolino di lancio perfetto per quello che avevo in mente di fare».
Se oggi i poli dell’innovazione sono diffusi un po’ in tutta Italia, aiuta ascoltare la testimonianza di Ganis su come si presentava il panorama del Friuli Venezia Giulia. «Non c’era nulla all’epoca. Il lavoro che ha fatto Davide è stato importante perché ha unito puntini scollegati». L’opportunità derivata dal network lo ha spinto verso la sua avventura da imprenditore. «Il mio caro amico Alessio D’Andrea, che sarebbe diventato cofounder (insieme al terzo cofounder Vincenzo Vitiello, ndr), mi ha parlato di questa tesi di laurea del suo compagno di università, riguardante la purificazione dell’aria tramite le piante. Loro erano profili tecnici, venivano dal Politecnico. Io ero più figura di business. Mi piaceva l’idea, ma avremmo tutto puntare subito in alto».
Questo cosa ha significato? Aver prenotato biglietti aerei per partecipare alla più importante fiera di elettronica di consumo al mondo, il CES di Las Vegas. Era il 2016 e Paolo Ganis ricorda così quelle giornate in Nevada. «C’erano forse due startup italiane. Non c’erano le delegazioni a cui siamo abituati oggi. Con noi avevamo un prototipo fatto alla bell’e meglio. E poi succede che veniamo notati da Plug and Play Venture. Ci chiedono: riuscite a venire da noi domani? Noi saremmo dovuti andare a fare il giro dei Parchi, ma era l’occasione della vita».
Avrebbero dovuto stare negli USA qualche giorno, alla fine si sono spostati in Silicon Valley per viverci e lavorarci tre mesi. «Al lavoro avevo detto che andavo negli Stati Uniti per vacanza. Quando tutto è successo ho dato le dimissioni, ma dopo due settimane le hanno respinte. Mi hanno detto di provarci. Sono stati super lungimiranti». Quella permanenza Oltreoceano ha permesso al team di Vitesy di cimentarsi con le proprie ambizioni. «Il primo prodotto era un purificatore dell’aria ma la nostra missione è sempre stata innovare il benessere delle persone con tecnologie sostenibili».
Da qui è nato Shelfy, un prodotto da disporre nel frigorifero e che grazie all’app tiene monitorata la qualità dell’aria interna, con suggerimenti anche per una migliore disposizione dei cibi. «Il filtro ceramico, imbevuto di nanomateriale, è fotocatalico. I led lo illuminano e questa reazione chimica disgrega le molecole dannose, come etilene e benzene. Hai l’aria perfetta ed eviti le cros-contaminazioni». La startup conta su una trentina di persone e in pipeline ha progetti accomunati dall’approccio originario. «Il sottostante è sempre aver tecnologie sostenibili: ci devono essere sensori, dati da dare al consumatore e bisogna fare educazione. Non trascuriamo poi il design».
Come si diceva, si tratta di una storia italiana, visto che Vitesy si appoggia a distretti locali. «La sede è a Pordenone, abbiamo tantissimi fornitori della zona. Siamo a km zero nella produzione di Shelfy. Per noi la mission è davvero sentita: vogliamo creare prodotti made in Italy».