Le scienze sociali sono fondamentali per decodificare il mondo. Bisogna partire dal concetto di inclusione, che permette di abbracciare le diversità. Intervista al rettore dell’Università Bocconi Francesco Billari
Ci sono posti che quando li attraversi sanno di futuro, mentre incontri facce, storie, persone. In fondo è questa l’Università Bocconi. Un melting pot di culture che guarda al mondo intero e che prova a orientarsi con nuove e inedite bussole in una contemporaneità che evolve rapidamente, in questo tempo definito dall’Economist come quello segnato della “prevedibile imprevedibilità”. Eppure bisogna imparare a cogliere la complessità, a decodificarne i messaggi, a trarre lezioni per noi e per le comunità in cui viviamo. «Abbiamo evoluzioni storiche lente e altre improvvise e non si tratta solo della normale alternanza tra periodi di crisi e periodi di crescita. Per esempio siamo sempre più consapevoli delle evoluzioni lente, come il cambiamento climatico, che comporta implicazioni anche per il mondo dell’innovazione e delle startup. Queste evoluzioni lente sono da leggere accanto ai cambiamenti veloci, come la rivoluzione digitale, ma anche come la pandemia o la guerra. Bisogna imparare a cogliere entrambe le dimensioni», afferma Francesco Billari, classe 1970, laurea in economia politica, esperienze lavorative in Europa e in America e da novembre nuovo rettore dell’Università Bocconi. Dopo aver insegnato demografia sempre in Bocconi, nel 2012 si trasferisce all’Università di Oxford come Statutory Professor of Sociology and Demography, per poi diventare Direttore del Department of Sociology e Professorial Fellow al Nuffield College.
Francesco Billari, rettore dell’Università Bocconi
Innovazione al plurale
Per Billari le nuove sfide dell’innovazione parlano così un esperanto impensabile fino a poco tempo fa e si rafforzano in alleanze inedite e trasversali che tengono insieme aziende grandi e piccole, istituzioni, società civile. Ritornano in mente le parole del World Economic Forum in occasione di Davos 2021, ad un anno esatto dall’emergere della pandemia: “Nessuna istituzione o individuo da solo può affrontare le sfide economiche, ambientali, sociali e del nostro mondo complesso e interdipendente. Occorre concentrarsi sulla creazione di impatto e sulla definizione delle politiche e di partnership necessarie. Nessuno si salva da solo”. Così oggi l’innovazione si declina al plurale, guardando però alle comunità locali. «Una delle novità contemporanee è saper coniugare globale e locale. Con la pandemia e con la guerra è chiaro che dobbiamo ripensare alle catene del valore e della logistica senza dividere gli attori in campo. La parola ecosistema è strategica ed è una novità rispetto alla fase pre-crisi. Certamente le sfide globali ci saranno ancora, ma dobbiamo essere in grado di articolare risposte specifiche locali. E c’è di più: non possiamo più ragionare per comparti stagni e separare privato e pubblico. Ci servono alleanze sistemiche. La risposta alla pandemia è stata un momento di grande sviluppo dell’innovazione. I migliori scienziati di tutto il mondo si sono messi assieme, lavorando con istituzioni e aziende, per scrivere nuove pagine di futuro», precisa Billari, che guarda anche all’analisi delle specificità anagrafiche. «Dobbiamo comprendere le peculiarità del sistema italiano, la sua evoluzione culturale e storica. L’Italia è uno dei Paesi con la più alta percentuale di anziani, seconda al mondo subito dopo il Giappone. Quindi gli attori dell’innovazione dovrebbero cogliere le opportunità e rispondere con proposte mirate, veloci, focalizzate. Ma c’è di più. Per la prima volta nella storia ci troviamo con tante generazioni presenti che possono dialogare. Rispondere all’invecchiamento in modo inclusivo è una sfida che dobbiamo cogliere come laboratorio», dice Billari.
“La parola ecosistema è strategica. Non possiamo più ragionare per comparti stagni. Ci servono alleanze sistemiche”
Professore, dall’estero cosa dovrebbero saper cogliere delle specificità nostrane? E invece qual è il modello che gli innovatori italiani dovrebbero imparare dall’estero?
Dall’Italia gli innovatori internazionali dovrebbero cogliere le specificità del nostro sistema. Dall’estero dovremmo imparare il coraggio dell’investire nell’eccellenza in tutti i campi. Io per un pezzo della mia vita sono cresciuto accademicamente nel sistema tedesco. Lì c’è anche tanto coraggio nell’investire nelle startup.
Cosa bisogna fare per generare alleanze trasversali?
Le rispondo partendo da un caso concreto: oggi i giovani italiani crescono con un sistema scolastico rigido con le prime decisioni da prendere a tredici anni d’età. E non toccano alcuni dei temi fondamentali come le scienze sociali, l’economia, la sociologia. Questi temi sono lasciati ad alcune formazioni specifiche, ma gli studenti destinati a scientifico e classico non incontrano le scienze sociali. Manca questo approccio trasversale che è fondamentale: non avere nessuna nozione economica e di sociologia non ci aiuta a leggere il mondo. Invece la Gran Bretagna ha un sistema di istruzione che dà fiducia ai ragazzi. Puoi scegliere le materie e quindi anche le scienze sociali, economia, scienze politiche. Le scienze sociali sono fondamentali per decodificare il mondo, non possiamo farne a meno.
Come si fa a ibridare le competenze?
Per tanti anni si è parlato di coding e oggi c’è quasi un ritorno alle scienze umane. Ma non dobbiamo cadere nell’eccesso di over confidence. Per ibridare dobbiamo avere un approccio realistico, aperto, oggettivo. Questo Paese è stato portato avanti per anni da una classe dirigente che aveva fatto solo un certo tipo di studi con una sola traiettoria. Invece oggi i modi di ibridare sono essenziali. Dobbiamo comprendere che il mix di competenze è essenziale perché nessuna disciplina da sola ti apre la mente. Non c’è una sola strada per arrivare al successo ed è un’altra cosa che possiamo imparare dall’estero.
“Il mix di competenze è essenziale perché nessuna disciplina da sola ti apre la mente. Ecco perché l’ibridazione è strategica”
In un’intervista su Repubblica ha dichiarato: “Le università hanno bisogno di leadership che parlino a più discipline”. La Bocconi del domani come la immagina?Costruita sempre sulle solide basi che già oggi ci sono, ma con la necessaria capacità di ibridare le discipline, dando conoscenze solide e al tempo stesso approcci flessibili. Bisogna fornire agli studenti la possibilità di leggere il mondo con strumenti tecnici e applicare le conoscenze con idee innovative. E soprattutto bisogna pensare in grande, guardando al mondo intero.
Il tema chiave dell’edizione 2022 di #SIOS22 è stato “reloaded”. Insieme lo scorso dicembre abbiamo declinato la formula della ripartenza. Per lei qual è la formula della ripartenza?
Dobbiamo partire dal concetto di inclusione, che ci permette a livello locale di abbracciare le diversità per creare coesione e tensione verso la ripartenza. A livello globale dobbiamo essere coscienti che una ripartenza potrà essere fatta solo senza rinchiuderci, e soprattutto senza schiacciare gli altri.