Due fibre tessili dello spessore di un ago che inserite nel fusto o nel ramo riescono a ‘leggere’ lo stato di salute di una pianta, prevenendo le malattie ed evitando sprechi di acqua e fertilizzante. Questa è Bioristor, spinoff dell’Imem del Cnr, sturtup che punta a salvaguardare ambiente e portafoglio
Si dice sempre che alle piante bisogna parlare, ora è arrivato anche chi le ascolta. È Bioristor, un sensore biocompatibile che, inserito nel fusto o nei rami delle piante, permette di monitorare costantemente lo stato di salute delle coltivazioni, consentendo così non solo di individuare per tempo eventuali malattie, ma anche semplicemente di dosare le quantità necessarie di acqua e di fertilizzante, per evitare sprechi ed eccessi. Un sistema insomma che salvaguarda ambiente e portafogli.
Composto da due fibre tessili dello spessore di un ago, il sensore viene inserito nel fusto della piantina o nel ramo dell’albero. Qui si impregna di linfa, dalla quale è in grado di rilevare quanta acqua e quanti e quali nutrienti contiene la pianta. Di conseguenza, segnala anche di cosa la stessa pianta è carente e quindi permette di intervenire con azioni specifiche, senza spreco di risorse, e in tempo per individuare e prevenire eventuali malattie.
“La rilevazione avviene ogni 10/15 minuti”, spiega il chimico Filippo Vurro, amministratore delegato e fondatore, con Nicola Coppedè, Manuele Bettelli e Michela Janni, della startup Bioristor. “In base ai dati rilevati riusciamo a capire se la pianta è in stress e di che cosa ha bisogno: se di acqua, di calcio, di potassio, o di qualsiasi altro nutriente, con un chiaro vantaggio non solo economico ma anche ambientale. Sono informazioni che, abbiamo visto, non possono arrivare dall’esame del terreno: tante volte, per esempio, dalle sonde inserite nei campi emerge una carenza di acqua che riguarda però soltanto il suolo, non le piante. Per cui si finisce per irrigare inutilmente”.
Risparmio di acqua e fertilizzante
L’idea nasce – un po’ per caso, un po’ per curiosità – nel 2016 in un laboratorio di Parma dell’Imem, l’Istituto dei Materiali per l’Elettronica e il Magnetismo del Cnr, di cui la startup Bioristor è spinoff. “Il nostro attuale presidente, il fisico Nicola Coppedé, guidava un gruppo di lavoro impegnato su un progetto in ambito biomedico: lo sviluppo di sensori che monitorassero il livello di idratazione degli atleti, misurando i parametri del sudore”, racconta Vurro. “Da lì si è pensato di provare l’esperimento anche sulle piante, inserendo nel fusto di un vegetale lo stesso sensore. Si è visto che funzionava e lo studio è andato avanti”.
Un anno dopo questo esperimento, c’è stata la prima pubblicazione scientifica, poi è proseguita la sperimentazione, prima in ambiente protetto, in serra, quindi in campo aperto, durante i mesi estivi, su piantagioni di pomodori e di kiwi, in meleti e sulle viti. Alla fine è emerso che in media, durante la campagna, è stato risparmiato il 36% di acqua (percentuale che varia chiaramente in base alla stagionalità e alla quantità di pioggia caduta), e il 20% dei fertilizzanti.
Un dato incoraggiante se si pensa ai cambiamenti climatici e all’utilizzo di un sistema simile nei paesi del sud del mondo. Anche perché Bioristor, che, stando agli studi, può essere applicato su ogni tipo di coltivazione, non necessità di una preparazione specifica per il suo utilizzo: una volta installato da mani esperte, l’agricoltore non deve far altro che leggere sulla mail o sul cellulare quello che il sensore ha rilevato e seguire le indicazioni sul da farsi.
Una startup facile da usare
“Il sensore”, continua Vurro, “è collegato a una centralina di alimentazione che raccoglie i dati e poi li invia a un cloud nel quale vengono nuovamente processati. Da qui, parte una notifica, che l’agricoltore riceverà via mail, via sms o sull’App che stiamo mettendo a punto, e nella quale leggerà se deve irrigare o fertilizzare”.
All’utente quindi arriva direttamente l’indicazione di cosa fare, non dati scientifici da interpretare: “L’agricoltore non deve essere culturalmente preparato alla lettura dei dati, però deve essere pronto ad accettare questo tipo di aiuto”, precisa Vurro. “Anche se c’è una nuova generazione di coltivatori in grado di aprirsi alla tecnologia, è ancora difficile che un agricoltore si fidi ciecamente di un’azienda”.
Finalista della Start Cup Emilia Romagna 2021, Bioristor ha un costo previsto di 900 euro per ettaro all’anno, compreso dello strumento elettronico e del cloud. Non un prezzo esorbitante, ma sicuramente giustificato solo per aziende agricole grandi e con colture ad alto reddito. “Quello dell’agricoltura non è un settore ricco”, spiega ancora Vurro, “non è il settore biomedico che ha tutto un altro mercato. E noi dobbiamo tener conto di questo, perché non si può fare impresa senza curare anche l’aspetto umano e sociale del settore in cui vai a operare”.