Marta Maria Altomare illustra lo stato dell’arte dell’innovazione del sistema scolastico italiano, raccontandoci la visita a 10 delle 15 scuole coinvolte nel progetto Scuol@ 2.0 del MIUR
È sulla bocca di tutti, dagli adolescenti agli adulti nel bene e nel male, è rimessa continuamente in gioco dai valzer politici, è un’istituzione che concilia passato, presente e futuro. Di cosa si tratta? Della scuola ovviamente, strumento indispensabile per accompagnare i giovani nel lungo percorso della crescita.
Ognuno di noi porta con sé i ricordi degli anni trascorsi tra i banchi di scuola, le gite, i professori, gli esami: dall’età di sei anni fino ai diciotto tutti gli studenti passano la metà delle loro giornate a scuola con i compagni e gli insegnanti.
La scuola è nata infatti per essere palestra di vita e di crescita formativa, culturale, sociale, economica e politica. Per tale motivo è necessario che rimanga un’istituzione funzionale, solida e partecipata, restando al passo i tempi e le sue continue evoluzioni.
Purtroppo però la teoria non coincide con la pratica: oggi la scuola soffre, più di ogni altra pubblica istituzione, di un indispensabile ammodernamento che viene rimandato di riforma in riforma e che prevede tre giocatori in campo, ossia il Ministero, gli insegnanti e le famiglie.
Anziché fermarmi agli innumerevoli discorsi che si possano affrontare al bar, sui mezzi pubblici, all’uscita dai plessi scolastici, ho trovato utile e necessario dialogare con le scuole, con chi quotidianamente compie il proprio lavoro con professionalità guardando al futuro più che al passato, con chi vive la scuola a tutti gli effetti. Ho quindi deciso di visitare le scuole italiane selezionate dal Ministero dell’Istruzione per il progetto Scuol@ 2.0, attualmente una delle tre azioni propulsive del Piano Nazionale Scuola Digitale, verificando sul campo i piani, le idee e le realizzazioni effettive delle scuole scelte, in quanto già proiettate al cambiamento, al rinnovamento e all’aggiornamento tecnologico.
Queste scuole sono dislocate lungo tutta la penisola, dal Piemonte alla Sicilia; sono tutti istituti pubblici, dalla primaria alla secondaria di secondo grado. Sono riuscita a recarmi presso dieci istituti dei quindici coinvolti nel progetto, tracciando i cambiamenti e le nuove modalità in atto, presso quelle che sono state considerate le “scuole d’avanguardia” del nostro Paese.
Da Brindisi a Scalea, da Caltanissetta a Caserta, da Teramo a Perugia, da Firenze a Piacenza, da Brescia a Torino: queste sono state le tappe del mio viaggio tra le scuole italiane. Un’esperienza utile oltre che avvincente, che mi ha permesso di scoprire le positività nascoste della scuola italiana, quella che funziona, che progetta, che è composta da Dirigenti e insegnanti motivati, che svolgono la propria professione con passione.
Ogni scuola selezionata ha infatti portato il proprio personale contributo, focalizzandosi maggiormente su alcuni aspetti ritenuti fondamentali: la didattica, gli ambienti e l’uso delle tecnologie per l’apprendimento.
Innanzitutto la didattica, contraddistinta dalla classica lezione frontale, è stata rimodulata in forme ritenute più coinvolgenti, come la “flipped classroom” (lezione capovolta) e la “cooperative learning” (lezione cooperativa), che puntano al dinamismo degli studenti, a catturare la loro attenzione ponendoli al centro della lezione. Si mira a costruire le conoscenze in maniera collaborativa e partecipata tramite il proficuo scambio tra pari, stimolando l’energia e innescando un meccanismo di sana competitività. È stata, quindi, rimessa in discussione la definizione tout court di “classe”: ora si passa dal manuale all’esercitazione pratica, dalla spiegazione breve e sintetica dell’insegnante (30%) alla partecipazione attiva e concreta dello studente (70%), muovendosi sul doppio binario teoria/pratica.
Le classi stanno diventando dei laboratori a tutti gli effetti, pur continuando a mantenere e potenziare i laboratori disciplinari specifici: il concetto di “classe fissa” sta allentando la presa, cedendo il posto alla classe che ruota tra le aree disciplinari (scientifica, tecnica, umanistica), nelle quali sono presenti aule attrezzate con gli strumenti specifici delle materie attinenti a ciascuna area. Questa è, per esempio, la scelta compiuta dall’istituto tecnico “Volta” di Perugia e dal “Majorana” di Grugliasco, che spingono il gruppo classe a spostarsi da un dipartimento disciplinare all’altro a seconda dell’orario scolastico di ciascuno. Invece la “Scuola-Città Pestalozzi” di Firenze, un istituto comprensivo sperimentale, e l’istituto tecnico industriale “Majorana” di Brindisi hanno predisposto un nuovo assetto per le loro aule, che esclude la tradizionale cattedra, ridistribuendo lo spazio con banchi ricomponibili e LIM (lavagna interattiva multimediale), predisponendo anche di un’area ricreativa.
Ogni scuola ha rimesso in discussione gli ambienti di apprendimento, tenendo conto delle rinnovate esigenze didattiche e delle strutture a disposizione: per le classi di piccole dimensioni si è rivelato utile adottare la LIM che permette, per mezzo della connessione al web, di cercare video, documenti, immagini, filmati, esercitazioni; oppure è stato efficace l’acquisto di banchi scomponibili e ricomponibili per compiere lavori in piccoli gruppi, per fare approfondimenti o recuperare argomenti e tematiche, per svolgere allenamenti pratici.
Tutte le tecnologie presenti sul mercato hanno fatto il loro ingresso nella scuola; tuttavia, diversamente da quello che accadeva dieci anni fa, l’uso dei nuovi dispositivi è diventato funzionale ai metodi di apprendimento. Non ci si sofferma alla basilare «alfabetizzazione tecnologica», perché la tecnologia «attraversa le materie» d’insegnamento, diventa strumento produttivo e stimolante: LIM, notebook, netbook e tablet sono stati adottati da scuole e famiglie con criteri di selezione differenti.
Per esempio il “Majorana” di Brindisi, la “Scuola-Città Pestalozzi” di Firenze, la secondaria di primo grado “Rosso di San Secondo” di Caltanissetta e il liceo scientifico “Respighi” di Piacenza hanno scelto la formula del tablet per ogni studente, rivolgendosi ai marchi e alle aziende di preferenza, tra cui la Apple. Mentre il “Volta” di Perugia, il “Majorana” di Grugliasco, il liceo scientifico “Copernico” di Brescia, l’istituto tecnico “Giordani” di Caserta e il liceo scientifico “Metastasio” di Scalea hanno optato per il libero accesso dei dispositivi privati degli studenti, in base alle scelte e alle disponibilità economiche di ogni famiglia. Un dato è chiaro: le lavagne digitali si sono diffuse capillarmente, considerando che non c’è scuola in Italia che non ne abbia nemmeno una e che le scuole 2.0 hanno quasi una LIM per ogni classe.
La connessione è ovviamente indispensabile alla Scuola 2.0, necessaria per la ricerca, la condivisione, l’impiego del registro elettronico (che è stato accolto dai 2/3 delle scuole inserite nel progetto), l’uso delle piattaforme, create per il passaggio di dati, tabelle, esercizi, video, tra insegnanti e studenti nell’orario scolastico ed extra.
L’immissione di tanta tecnologia non corrisponde di conseguenza a un potenziamento e un miglioramento dei risultati didattici degli allievi, né tanto meno si può credere che il digitale abbia definitivamente scavalcato tutto ciò che è cartaceo: innovare non significa eliminare il passato, bensì mantenere le positività dei metodi tradizionali sviluppandole in un contesto rinnovato. Ed è per questo che diventa fondamentale la figura dell’insegnante, che ha bisogno di ulteriori corsi e workshop di formazione, essendo diventata ormai il mediatore dei saperi e la guida di riferimento nell’educazione ai nuovi mezzi e alle infinite possibilità che il web concede.
Le scuole del futuro in Italia ci sono e, per nostra fortuna, sono più numerose del previsto.
di Marta Maria Altomare