Il settore è in forte crescita da anni: nel 2021 è stato in grado di attirare oltre 51 miliardi di dollari di capitale a livello globale. In Italia le startup innovative non mancano, ma si investe ancora troppo poco
Le startup per crescere hanno bisogno essenzialmente di due cose: idee e soldi. Ecco perché è fondamentale il ruolo dei fondi di venture capital, il cui scopo è quello di aiutare le aziende che intendono produrre e offrire beni e servizi di tipo innovativo. E per aiutare s’intende sia a livello di capitali ovviamente, sia a livello di expertise e di relazioni.
Le società di venture capital hanno diverse strategie di portfolio (bisogna considerare, per esempio, in quante startup investono, se sono specializzate in un settore in particolare, che orizzonte temporale si danno e via discorrendo), ma tutte hanno un obiettivo in comune: trovare le nuove Apple, Airbnb e Spotify. Si tratta sostanzialmente di investire in imprese caratterizzate da grandi potenzialità di sviluppo, ma anche da un elevato grado di rischio.
La particolarità del settore AgriFoodTech
Il 2021 è stato un anno da record per quanto riguarda gli investimenti nel settore dell’innovazione agroalimentare a livello mondiale. La conferma è arrivata dai dati contenuti nell’AgriFoodTech Investment Report 2022, pubblicato lo scorso marzo da AgFunder, che è proprio uno dei venture capital più attivi in ambito AgriFoodTech.
“La peculiarità dell’ecosistema AgTech è data dal fatto che coesistono differenti tipologie di tecnologia e di prodotto”
L’anno scorso gli investimenti hanno toccato quota 51,7 miliardi di dollari, facendo segnare un incremento dell’85% rispetto al 2020. “Il settore sta vivendo negli ultimi anni una crescita impetuosa e rappresenta ormai un pezzo consistente dell’allocazione complessiva degli investimenti di venture capital”, commenta Peter Kruger, presidente di Agrifood-tech Italia e managing partner di AgFood Ventures .
Stiamo parlando di un mercato estremamente variegato. Gli investimenti possono infatti riguardare i diversi livelli della filiera agroalimentare, dai processi di produzione e trasformazione del cibo alla vendita al dettaglio.
“La peculiarità dell’ecosistema AgTech è data dal fatto che coesistono differenti tipologie di tecnologia e di prodotto: si va dal marketplace e dalle piattaforme di e-commerce fino alla robotica o al biotech. Ogni categoria ha tempi di sviluppo e anche esigenze di funding molto diverse. La carne coltivata, per esempio, richiede elevati investimenti di capitale iniziale e lunghi tempi di valorizzazione dell’investimento”, aggiunge Peter Kruger.
I fondi specializzati più importanti
Non staremo qui a fornire un elenco esaustivo dei (numerosi) venture capital focalizzati in maniera specifica su come trasformare il sistema agroalimentare globale, rendendolo più innovativo e sostenibile. Ma possiamo vedere a volo d’uccello quali sono gli esempi più importanti in Europa e nel mondo.
Oltre al già citato AgFunder, non possiamo non menzionare Anterra Capital, che lo scorso maggio ha chiuso il suo secondo Global Food and Agriculture Technology Fund, raccogliendo circa 260 milioni di dollari.
O ancora, troviamo Astanor Ventures che nel suo portfolio annovera due startup europee di successo come la berlinese Infarm, che si occupa di vertical farming, e la parigina Ynsect, che invece è all’avanguardia nell’utilizzo delle proteine degli insetti.
C’è poi Five Season Ventures, fondo di venture capital pan-europeo fondato da italiani a Parigi, che tra l’altro ha investito anche nel nostro Paese (in particolare, su Cortilia) e che di recente ha annunciato di aver chiuso un secondo fondo da 180 milioni di euro. Sempre in Francia è molto attivo Capagro, fondo di venture capital specificamente dedicato all’AgriFoodTech con un portfolio interessante.
Negli Stati Uniti invece troviamo giganti del calibro di New Crop Capital e S2G Ventures, oltre a diversi corporate venture capital, come Tyson Ventures e Syngenta Group Ventures.
Infine, anche la Cina ha da poco meno di due anni il suo fondo di venture capital concentrato sull’innovazione agroalimentare: si tratta di Bits x Bites, che ha sede a Shanghai e ha chiuso il 2021 con 100 milioni di dollari raccolti.
Uno sguardo all’Italia
E l’Italia? Per quanto riguarda il nostro Paese, sono piuttosto amare le parole di Peter Kruger. “Da noi la situazione non è certo delle migliori. È vero, ci sono alcune iniziative corporate, come quella del gruppo Barilla (il suo braccio di venture capital si chiama Blu1877, ndr), ma riguardano spesso fasi molto iniziali della vita di una startup. Tendenzialmente invece i fondi di venture capital non operano nella fase seed, ma dalla serie A in poi. In Italia mancano dei veri investitori professionali specializzati nel settore”.
“Le startup italiane rappresentano una buona opportunità di investimento, ma scontano un forte gap in termini di capitalizzazione”
Qualcosa in realtà si sta muovendo. Lo scorso anno Riello Investimenti Partners Sgr ha lanciato un fondo dedicato appositamente all’agritech, Linfa Ventures, con l’obiettivo di raccogliere almeno 80 milioni di euro da investitori qualificati e istituzionali (la cifra però non è ancora stata raggiunta).
Altre società di venture capital, come Innogest Capital e Digital Magics, hanno investito nel settore. O ancora, si potrebbe citare il caso di Red Circle Investments di Renzo Rosso, fondatore del marchio Diesel, che ha deciso di puntare su Planet Farms, senza dubbio l’esempio più importante di vertical farming in Italia.
Tuttavia, per comprendere meglio il quadro italiano, le considerazioni da fare sono di altro tipo. Basta confrontare due dati. Nella classifica delle 500 migliori startup AgriFoodTech stilata da Forward Fooding, l’Italia totalizza circa il 5%, a conferma dell’elevata qualità delle startup nostrane. Se però andiamo a vedere le percentuali in termini di capitale allocato a livello globale, vediamo che il nostro Paese si ferma appena allo 0,7%.
“Da noi la situazione non è certo delle migliori”
“Questo vuol dire da una parte che le startup italiane rappresentano una buona opportunità di investimento, ma dall’altra che scontiamo un forte gap in termini di capitalizzazione delle startup AgriFoodTech”, spiega Peter Kruger. Un paradosso se pensiamo che l’agroalimentare rappresenta un settore chiave per l’economia italiana: secondo le stime del Crea, vale circa 522 miliardi di euro, pari al 15% del Pil nazionale.
Come è possibile? L’eccessiva burocrazia rimane il nemico numero uno per la creazione di nuovi business. Ma non è il solo fattore limitante. “Altrettanto dannoso è un atteggiamento connotato da un certo autocompiacimento, diciamo così, da parte dei politici e degli operatori italiani”, afferma Peter Kruger.
Come a dire, va benissimo valorizzare le eccellenze del made in Italy, che sono riconosciute in tutto il mondo. Ma occorre anche prendersi dei rischi e avere il coraggio di scommettere su startup innovative, se si vuole guardare avanti e rimanere competitivi. “Bisogna capire che il mondo sta cambiando rapidamente e che l’innovazione in questo settore è davvero disruptive. Una leadership che possiedi oggi potrebbe venire meno tra dieci anni”.