«Tutto il sistema medico è stato costruito in modo reattivo: la persona non monitora nulla, fa un test all’anno se va bene. Di fronte ai sintomi si fanno le analisi e infine ci si cura. È un processo che a nostro avviso va fatto al contrario. E il problema più grande è il monitoraggio». Renato Circi, co-Ceo e Co-founder di Sava, è il protagonista di questa nuova puntata di “Italiani dell’altro mondo”, rubrica che su StartupItalia incontra e racconta talenti che lavorano all’estero, dalla Silicon Valley e Singapore.
Circi è a Londra da più di dieci anni e qui ha fondato una startup biotech che ha sviluppato micro sensori disposti su un cerotto da applicare sulla pelle. «Il primo settore su cui ci stiamo concentrando è quello del diabete, per misurare la glicemia. In futuro affronteremo altre malattie». Tra gli investitori ci sono Riccardo Zacconi, ex Ceo di King.com e papà di Candy Crush, da tempo attivo anche in ambito healthcare; così come Exor Seeds con Ileana Pirozzi e Paolo Pio con Exceptional Ventures.
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Sava e il trend della tecnologia wearable
Nato a Roma nel 1995, Renato Circi è figlio di imprenditori. «I miei hanno lavorato nell’editoria, e anche mia sorella fa l’imprenditrice. È proprio una cosa di famiglia quella di lanciare iniziative». Prima di raccontare di Sava e del suo percorso nell’ecosistema startup londinese diamo un contesto per capire il background di uno dei fondatori. «Ho avuto un’infanzia fortunata – ci racconta – ho frequentato la scuola inglese a Roma». Circostanza che spiega uno sguardo più rivolto all’internazionale. Nel momento infatti della scelta dell’università, Renato aveva due opzioni: Bocconi, dunque Milano, oppure ingegneria biomedica a Londra.
«Ho studiato all’Imperial College di Londra. Parliamo di una facoltà molto generalista, in cui si coprivano materie come elettronica, software, meccanica e biologia». Nel settembre 2014 Apple ha svelato al mondo l’Apple Watch, il primo vero device successivo all’era di Steve Jobs. La Big Tech non aveva certo interesse nel far capire alla gente che ora fosse in una maniera più smart. Con la tecnologia wearable si è invece palesata l’intenzione di questi giganti nell’aiutare le persone a monitorare la propria salute, dal battito cardiaco fino all’ossigenazione del sangue.
Le startup e le cure del futuro
È in quel clima che Renato Circi ha iniziato ad appassionarsi al trend. L’Imperial College ha dimostrato nei decenni un grande impegno sulla ricerca biomedica e ha condotto studi in aree come la genetica del diabete, i meccanismi molecolari alla base della malattia, le innovazioni nel monitoraggio del glucosio e le nuove terapie farmacologiche.
«Con Rafaël Michali, il mio co-founder, abbiamo cominciato a valutare vari ambiti in cui sviluppare un prodotto». Ad oggi Sava non è ancora sul mercato, ma è in fase di studi clinici con il suo cerotto dotato di micro sensori. «Questi piccoli aghi penetrano la prima parte della pelle senza alcun dolore e vanno così a misurare il fluido interstiziale. L’intero dispositivo è stato sviluppato in house».
Ad oggi la startup ha raccolto 13 milioni di dollari e conta su un team di 35 persone, tra ingegneri e scienziati. Nel chiacchierare con noi è emersa molto chiaramente l’ambizione di lanciare un prossimo unicorno in un Paese dove la loro nascita è un fatto non così raro per l’ecosistema. Con una popolazione che invecchia sempre di più la salute è uno dei settori in cui l’Europa e altre parti del mondo dovranno fare i conti. Mentre in Silicon Valley c’è chi è al lavoro sulla longevità, nel vecchio continente startup come Sava si adoperano per offrire ai pazienti strumenti che monitorino in maniera costante il proprio stato di salute.
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«Per come la vediamo qualsiasi persona, in base al proprio obiettivo, potrà essere in grado di monitorare determinate molecole per raggiungerlo al meglio». Che si tratti di uno sportivo professionista, o di una persona anziana l’approccio è di prendersi cura in maniera preventiva della propria salute. In Italia l’attenzione sul settore healthcare è in crescita, ma in Europa Londra gioca un’altra partita.
«Londra non è la Silicon Valley, ma è più vicina a quel mondo di qualsiasi altra città europea – ha concluso -. Qui a 22 anni ho raccolto i primi fondi con un pitch deck e zero esperienza. In Italia secondo me dovrebbe cambiare una cosa in particolare: gli imprenditori puntano a essere bravi solo a livello nazionale. A Londra tante compagnie hanno l’obiettivo di diventare leader al mondo».