Il mondo è cambiato: nel 2013 non c’erano capitali e le startup iniziavano a farsi strada. Al nostro compleanno c’è anche un imprenditore ed esperto di Venture Capital. «La community di appassionati di tecnologia è cresciuta, ma è ancora una nicchia»
«StartupItalia è nata proprio quando le istituzioni hanno iniziato a mostrare attenzione per questo fenomeno giovanile. Ma se mi guardo indietro, 10 anni fa non c’era nulla. C’erano tanti ragazzi che avevano voglia di fare. E basta». A parlare è Gianluca Dettori, Founder e presidente di Primo Ventures, uno che mastica Venture Capital da sempre, che ha viaggiato lungo lo Stivale a bordo del “Barcamper” per conoscere le storie di nerd e smanettoni della tecnologia in anni in cui, alla fine, tutto sembrava limitarsi a quello. Oggi festeggiamo i dieci anni di StartupItalia e con questa intervista tiriamo le somme della rincorsa all’innovazione in un paese partito tardi e che oggi qualche chance di recuperare sembra davvero avercela. «Vorrei acchiappare i nostri competitor in Francia. Vorrei vedere molti investimenti moltiplicati per 4, ma non artificialmente. Credo che in questo momento, in cui tutto il mondo sta in difficoltà, siamo in controtendenza».
Verso le startup e oltre
«Secondo me StartupItalia ha dato una voce a quella voglia. Riccardo Luna, David Casalini, la stessa Nana Bianca con Paolo Barberis sono stati parte di quel fenomeno». Gianluca Dettori, che ha lanciato e guidato Vitaminic, e poi fondato dpixel, non se lo sarebbe aspettato questo salto di qualità e quantità in dieci anni. Abituati a una narrazione del paese che, a prescindere dai successi, si presenta spesso come perdente e perduto, il lavoro che da sempre StartupItalia ha scelto di fare è stato di raccontare chi ci prova, chi fallisce e chi ci riesce. Spettatori di un tessuto imprenditoriale che ha raggiunto la propria maturità e che non deve più chiedere il permesso per avere una voce in capitolo quando si parla di lavoro e sviluppo economico.
Dieci anni fa due cose non c’erano, e oggi sono invece una garanzia. «Quando è stata lanciata StartupItalia non esistevano i miliardi investiti in aziende innovative. Stavamo quasi a zero, per una nazione che comunque non era l’ultima arrivata». Un paese pieno di eccellenze e ricco di casi di successo industriale non aveva ancora scoperto un altro potenziale. «Quando tutto è partito c’erano 2 fondi di Venture Capital. Oggi ce ne sono 40 e sono strutturati». Non sono cambiate però soltanto le cifre e gli economics, ma anche chi fa innovazione.«Abbiamo molte più e startup, meglio organizzate, più competitive».
In controtendenza
In un momento storico di grandi incertezze, con la guerra che prosegue alle porte dell’Europa, i licenziamenti di massa delle Big Tech, il costo del denaro che sale e che pesa sugli investimenti, cosa può fare l’Italia e cosa può fare il nostro magazine per far emergere quel che è sotto la superficie? «Si è sviluppata una comunità di persone che segue certi argomenti, ma è ancora ristretta rispetto alla società». Un impegno – che facciamo nostro – per uscire dalla nicchia e diventare mainstream viene suggerito in questi termini da Dettori. «Passati dieci anni, dobbiamo andare oltre il concetto di startup. Dire che c’è un settore che non contiene soltanto soldi e tecnologia, ma sovranità digitale e geopolitica. Da startup occorre iniziare a parlare di società tecnologiche, aziende italiane con business sostenibili. Perché quando hai ShopFully che compra un competitor in America latina, io mi aspetterei che il Tg1 ne parli come prima notizia economica».
Dettori ha scritto a più riprese sul nostro magazine, dando il proprio punto di vista sui vari settori di cui è esperto. A domanda, non ha un ricordo preferito dell’ultimo decennio. «Sono stati anni difficili, a dirla tutta. Sono stati davvero molto belli i primi. Direi entusiasmanti. Eravamo senza soldi, senza investitori, si andava in giro col camper per conoscere questi ragazzi. Non sono ancora al 100% contento. Il bello vorrei ancora vederlo». Saremo lì a raccontarlo, perché non sono pochi gli investitori e protagonisti dell’ecosistema a credere che l’Italia sia entrata in un percorso di controtendenza.
«Servirà raccontare le storie di successo, ma un bel boost può arrivare anche dalla normativa». StartupItalia nasceva quando lo Startup Act dell’ex ministro Corrado Passera inquadrava per la prima volta le startup innovative. «Da allora tutti i governi hanno fatto manutenzione ordinaria, ma oggi gli incentivi fiscali non funzionano più. Non dico fare il superbonus delle startup, ma un sano 30 o 50% sì. Se fai un investimento a rischio in Italia, ma ben venga quell’incentivo». Del resto è uno dei modi per attirare capitali esteri, oltre a incentivare quelli nazionali.
Un vantaggio inaspettato?
Un altro elemento (storicamente) di debolezza oggi potrebbe tradursi in una molla per recuperare terreno. «L’Italia è un mercato emergente del sud Europa. Non abbiamo grandi vantaggi, se non che abbiamo dovuto lottare da zero. Siamo più resilienti, avvezzi a gestire situazioni complicate, difficoltà di accesso ai finanziamenti, basse valutazioni. Per noi è una costante. I problemi che molti unicorni USA stanno affrontando oggi per noi non sono problemi». Non significa gioire del gap che si è creato e che ha significato perdita di competitività, oltre che fuga di cervelli e capitali. «Non abbiamo vissuto la bolla degli ultimi anni. Ma siamo comunque sempre qui per fare buone aziende».