I VC hanno suggerito a Ceo e Founder di spostare altrove i propri conti per evitare guai peggiori in caso di fallimento dell’istituto
Non è stato un inizio di sedute positivo per le Borse europee. A pesare sui listini sono le sorti degli istituti bancari americani, che nelle scorse ore hanno perso terreno con un effetto contagio. Oltre a Silvergate, la banca crypto che questa settimana ha annunciato la messa in stato di liquidazione, l’attenzione è puntata sulla Silicon Valley Bank, uno degli istituti USA più impegnati sul settore startup. Il titolo ha perso il 60% del proprio valore, spingendo diversi fondi VC a suggerire alle startup in portfolio di spostare i propri conti altrove. In attesa di capire i prossimi sviluppi, ripercorriamo la storia della Silicon Valley Bank, realtà con quarant’anni di attività alle spalle.
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Come ha scritto il New York Times, l’ipotesi di un fallimento della Silicon Valley Bank significherebbe il secondo più grave precedente dopo quello della Washington Mutual durante la crisi finanziaria del 2008. Negli anni si è affermato come partner finanziario per chi fa startup e innovazione, anche se non è un soggetto paragonabile per volumi ai giganti del mondo bancario. Fondata nel 1983 da Bill Biggerstaff e Robert Medearis, è un istituto che si è specializzato nel settore dell’innovazione. La sua quotazione risale al 1988, con una IPO da 6 miliardi di dollari. Due anni dopo ha aperto una sede sulla costa est degli Stati Uniti, a Boston. Nel 2000 è stata la volta della filiale in Florida, subito prima dello scoppio della bolla delle dot.com, crisi che ha fatto perdere il 50% del valore alle sue azioni.
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La Silicon Valley Bank è comunque riuscita a sopravvivere e all’inizio del nuovo millennio ha aperto sedi a Londra, in Israele e a Pechino. Con la crisi del 2008 dei mutui sub-prime l’istituto ha beneficiato di 235 milioni di dollari provenienti dal Troubled Asset Relief Program. Nel novembre 2012, la banca ha annunciato una joint venture paritetica con la Shanghai Pudong Development Bank (SPDB) per finanziare gli imprenditori tecnologici. In questo articolo risalente al 2016 si evidenzia che la banca concede sì prestiti alle startup, ma quelle early stage costituiscono soltanto il 6% dei casi, mentre la stragrande maggioranza è rappresentata da aziende più strutturate.