Il videogioco è l’opera prima di Portable Moose
Non se ne parla mai abbastanza. La depressione a volte viene sminuita, altre trattata come malattia contagiosa. Quasi che una persona depressa sia da considerare come persa per sempre. Se qualcosa ci hanno insegnato due anni di pandemia è che non possiamo più trattare la salute mentale come argomento tabu: occorre informarsi, discutere, approfondire, conoscere. I mezzi per farlo sono infiniti e, come più volte abbiamo ribadito, i videogiochi sono forse tra i più efficaci. Spesso sono i giovani sviluppatori che con iniziative indie propongono titoli coraggiosi, che affrontano temi senza la paura di sembrare crudi o brutali. Sally Face, disponibile anche su Xbox Series X/S, è un punta e clicca narrativo sviluppato da Steve Gabry, che ha dato vita a una software house composta, per ora, da lui soltanto: Portable Moose. Di stanza a Pittsburgh, negli Stati Uniti, ha mostrato grande abilità sia nella sceneggiatura, sia nella resa grafica.
Sally Face è un racconto a episodi – cinque in tutto – che si completano esplorando luoghi inquietanti. Il protagonista è un ragazzo bizzarro, che indossa sempre una maschera. Di lui spiccano quegli strani capelli azzurri e una corporatura esile. Come ci aveva raccontato il nostro Carlo Terzano nella recensione per Nintendo Switch, non è facile raccontarvi di Sally Face senza raccontarvi le situazioni ansiogene che costringe a vivere. A cominciare dall’inizio, quando un sogno ci scaraventa in faccia la morte di nostra madre.
Sally e il padre hanno appena traslocato e vivono in un palazzo di cinque piani. Il primo giorno è difficile a qualsiasi età, ma se sei un adolescente senza più una mamma, con un papà con cui fai fatica a confrontarti, perso anche lui nei suoi pensieri, le cose allora si complicano. Diventa quasi naturale girare e guardarsi attorno: è sopravvivenza. Come gameplay, Sally Face ci porta a interagire con oggetti, a tenerli nell’inventario e a risolvere semplici puzzle ambientali in schermate a scorrimento orizzontale. Le stanze e gli ambienti sono disegnati a mano, con una cura per i dettagli sorprendente.
L’aspetto meglio riuscito del titolo è senz’altro la trama, basata interamente sulle linee di dialogo. Condividiamo con molti il fatto che, una volta iniziato il videogioco, ci sarebbe piaciuto maggiore profondità nei discorsi coi vari NPC. Al tempo stesso riconosciamo che, lavorando da solo, lo sviluppatore è stato sicuramente costretto a operare scelte nette. Nel suo complesso, Sally Face è una delle migliori produzioni videoludiche indie riguardanti la salute mentale che ci sia mai capitato di recensire in console. Ci chiediamo soltanto per quale motivo nel menu principale il software ci abbia dato la possibilità di scegliere la lingua italiana, per poi comunque costringerci a leggere dialoghi in inglese. Se volete conoscere di più sul percorso di Steve Gabry vi suggeriamo questo video pubblicato sul canale YouTube della software house, in cui ha risposto ad alcune domande in merito alla sua opera prima.